Un attacco gravissimo alla libertà dell’insegnamento universitario, una selezione destinata al fallimento, un modello che in Francia ha già prodotto danni enormi. Sono queste le accuse che l’Associazione Nazionale Docenti Universitari (ANDU) rivolge alla riforma del numero chiuso in Medicina, introdotta dal governo con l’istituzione del cosiddetto semestre filtro. Un modello che, sin dal suo annuncio, ha generato entusiasmo mediatico, ma che oggi si sta rivelando pieno di contraddizioni.

Come funziona il semestre filtro

La norma prevede che gli esami di profitto – trasformati in test standardizzati – di tre insegnamenti vengano svolti nello stesso giorno, in tutte le università, con prove nazionali uguali per tutti. Ogni studente potrà sostenere due appelli ravvicinati; sulla base dei punteggi sarà poi stilata una graduatoria nazionale per assegnare i circa 20.000 posti disponibili, a fronte di oltre 60.000 iscritti. Chi non rientrerà resterà fuori, con la possibilità di ripetere il semestre per altre due volte. Secondo l’ANDU, si tratta di una «decimazione annunciata», un «gravissimo e incostituzionale attacco alla libertà dell’insegnamento», una vera e propria «robotizzazione dell’università» che riduce drasticamente l’autonomia didattica.

Invece di migliorare il contestato test di ingresso, se ne introducono tre (che diventano sei in caso di ripetizione). Aumenteranno i costi per la preparazione e cresceranno i ricorsi amministrativi, rendendo il sistema ancora più fragile. La riforma si ispira a un modello francese già giudicato fallimentare: «un massacro generazionale», «una macelleria didattica», «una catastrofe», come lo stesso Macron definì nel 2019 «obsoleto, ingiusto e inefficace».

Un recente articolo di Repubblica ha mostrato come molti studenti abbiano interpretato male l’assenza del test iniziale, credendo che Medicina fosse diventata ad accesso libero. Alla Federico II di Napoli, centinaia di iscritti hanno rinunciato al semestre filtro, non pagando i 250 euro richiesti. Quando hanno scoperto che la selezione non era stata eliminata, ma solo spostata in avanti, hanno abbandonato. In questo modo, oltre al danno formativo, si è aggiunto anche un costo economico inutile. Lo stesso presidente della Scuola di Medicina, Giovanni Esposito, ha ammesso che «non siamo riusciti a raggiungere il primo obiettivo: evitare che le famiglie spendessero soldi invano».

L’errore di fondo: quantità non è qualità

Il sistema sanitario italiano non ha bisogno di più medici indistinti, ma di specialisti nelle aree critiche: pronto soccorso, pediatria, anestesia. E, soprattutto, ha una drammatica carenza di infermieri. Continuare a gonfiare i numeri senza una programmazione accurata rischia di produrre eserciti di medici generalisti senza prospettive, mentre i reparti d’urgenza collassano. Secondo il rapporto Make Test di Medicina Great Again del comitato Domani in Salute, tra il 2023 e il 2032 l’Italia formerà circa 141.000 medici a fronte di un fabbisogno di 109.000. Un surplus di 32.000 professionisti, formati a spese dello Stato (fino a 200.000 euro per ciascuno), che finiranno spesso all’estero o nel privato.

Da anni l’ANDU chiede di superare il numero chiuso con proposte alternative e graduali. Tra queste, anche l’idea di un sorteggio come soluzione provvisoria, «preferibile alla lotteria dei test». In un documento inviato al Senato, l’ANDU ha ribadito le proprie posizioni: abolire il numero chiuso, evitare il modello francese e avviare un percorso di riforma strutturale.

Per quanto sicuramente di nobile pensiero, quello di permettere a tutti di studiare quello che si vuole, la teoria deve scontrarsi con la realtà. Un Paese in cui le risorse sono poche e vengono spese male, deve necessariamente avere delle priorità e oggi quella priorità si riassume in una sola parola: programmazione.

Le conseguenze sul sistema di un’apertura indiscriminata saranno evidenti:

  • Liste d’attesa più lunghe: senza specialisti e infermieri adeguati, aumentano i tempi per visite ed esami.
  • Divari territoriali: le regioni più deboli, come la Calabria, non hanno infrastrutture né personale sufficiente per reggere il sovraffollamento.
  • Privatizzazione strisciante: la fuga dei professionisti verso il privato svuota il SSN e mina il diritto alla salute.

Il semestre filtro non è la soluzione: sposta lo sbarramento, aumenta costi e ansia, riduce l’autonomia accademica e rischia di alimentare ulteriori diseguaglianze. La vera risposta è una riforma strutturale basata su programmazione, equità e investimenti nel Ssn. Aprire le porte per sei mesi e richiuderle a giugno non è una riforma: è un’illusione. La qualità della formazione e il futuro della sanità italiana dipendono da scelte più serie e lungimiranti.