La studentessa Unical residente a Cassano di origine palestinese ci racconta il suo 25 dicembre, l’ennesimo con Gaza sotto le bombe: «L’ultima volta che ho sentito i parenti dei miei genitori erano nella tendopoli ed era venti giorni fa»
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Ahlam studia all’Università della Calabria. Si divide fra Cassano, dove abita con la sorella e i genitori, e Arcavacata, dove invece vive in una delle residenze che l’Ateneo mette a disposizione degli studenti. Potenzialmente una vita come altre migliaia ce ne sono, con una piccola eccezione: Ahlam è di origine palestinese. Non era raro trovarla in prima fila con la sorella nelle manifestazioni che hanno invaso Cosenza nei mesi scorsi. E da quando Israele ha intensificato i bombardamenti sulla striscia di Gaza, il Natale non è più lo stesso, nonostante la (finta) tregua tirata avanti senza controllare da Trump. La incontriamo sul ponte scoperto, all’altezza del Rettorato.
«L’ultima volta che siamo riusciti a sentire i nostri parenti che ancora vivono lì – ci racconta – è stato due settimane fa. Dopodiché, non abbiamo potuto più contattarli perché non hanno linea internet. Non sappiamo come stiano, sappiamo solo che vivono nelle tende e che la loro situazione è uguale a quella degli altri palestinesi. Stiamo cercando di aiutarli, ma la situazione è molto complessa».
«Anche noi musulmani festeggiamo il Natale, ma ormai a Gaza ci sono solo macerie»
Non è più Natale in Palestina, o forse non lo è mai stato da quando Israele ha iniziato a prendersi le terre. Eppure, contrariamente a quanto si pensi, il 25 dicembre è importante a tutte le latitudini: «Per noi musulmani è una festa molto importante perché crediamo che Gesù sia un grande profeta. Il problema è che nella mia terra non è più Natale, non è più Capodanno, non è più festa: ci sono soltanto macerie e distruzione».
Con il cuore accanto alla gente di Gaza, alla quale si cerca di mandare aiuti il più possibile, con il corpo a Cassano, dove Ahlam festeggerà (pur con il pensiero a chi ancora vive sotto le bombe) il suo Natale metà palestinese e metà calabrese. «Le tradizioni più o meno sono le stesse, perché anche da noi si accende l’albero l’8 dicembre. Il nostro grande albero di Natale è a Betlemme, il simbolo del cristianesimo in Palestina».
Un Natale fra due tradizioni e un mix di cibo
Quello che cambia sono le portate della cena. Da buona tradizione, Ahlam e la sua famiglia le alternano: «Sì – ci dice con un sorriso – usiamo un po’ di tradizioni palestinesi e un po’ di quelle calabresi. Per esempio c’è un cibo tipico della nostra terra che si chiama maqluba, fatta con riso, pollo, melanzane e verdure che si prepara in tutte le feste ed è mangiato sia da noi musulmani sia dai cristiani». Ma sulla tavola, ovviamente, non mancano «i dolci tipici calabresi». Un Natale molto particolare, fra maqluba e scaliddre.
Pur tuttavia, Ahlam non dimentica la sofferenza di chi non è stato così fortunato da poter festeggiare il Natale in Palestina. «La pace annunciata da Trump non è servita a niente, perché la tregua non è mai stata reale e i bombardamenti sui civili continuano senza sosta. Io spero – ci dice commossa – che con l’inizio del nuovo anno tutto si fermi e che ognuno possa toranre al proprio posto, in pace». Un augurio che, nella propria semplicità, tutto il mondo dovrebbe condividere.


