Non sempre l’estate garantisce il miglior pescato. Nella nostra regione i piccoli porti custodiscono tradizione e qualità
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Il ristorante di pesce, scrive Andrea Cuomo per il Gambero Rosso, rappresenta uno dei miti più radicati della ristorazione italiana. È il luogo dove la fantasia culinaria incontra il desiderio di lusso accessibile, quel piccolo momento di piacere che, nel passato, una cena fuori poteva ancora regalare senza compromettere il bilancio familiare. Un simbolo di convivialità, di estate, di vacanza, ma anche di sogno gastronomico collettivo: spaghetti allo scoglio, crudi, ostriche e grigliate miste che evocano il mare, la salsedine e la bellezza di una tavola imbandita in riva all’acqua.
Secondo Cuomo, il mito del pesce fresco al mare ha radici profonde: milioni di italiani affrontano ogni anno code fantozziane sulle strade per raggiungere spiagge e porti, convinti che “il pesce migliore si mangi al mare e dove sennò?”. Ma è davvero così?
L’estate, sottolinea il giornalista, non coincide necessariamente con il periodo migliore per gustare pesce freschissimo. I pescherecci, anche se escono più facilmente grazie a condizioni meteo favorevoli, non garantiscono bottini più ricchi: la quantità e la qualità del pescato non aumentano solo perché il sole splende. Gli chef, come ricorda Gianfranco Pascucci del Porticciolo di Fiumicino, spesso preferiscono lavorare frutti di mare d’inverno. In estate, la domanda turistica elevata costringe molti ristoratori a proporre pesce surgelato o conservato, che non sempre rispetta la qualità attesa dai clienti. «Non è detto che tu in Sardegna d’estate possa mangiare il migliore calamaro che esista – commenta Pascucci – anzi, può succedere il contrario».
Cuomo evidenzia tre accorgimenti fondamentali per non cadere in “trappole gastronomiche”. Il primo è conoscere il mare e le stagioni: sapere cosa i pescatori locali hanno portato a riva durante la notte e adattare le proprie aspettative al pescato disponibile. Lo chef Moreno Cedroni della Madonnina del Pescatore, insieme a Daniele Usai del Tino e del Bistrot 4112 a Fiumicino, ricorda l’importanza di educare i clienti, orientandoli verso pesce fresco, locale e stagionale, evitando la cosiddetta “despinalizzazione”, ovvero la ricerca ossessiva di pesci senza spine o di specie specifiche, come scampi o calamari, difficili da reperire in quantità elevate.
Il secondo aspetto chiave riguarda la continuità dei ristoranti: chi lavora tutto l’anno, non solo nei mesi estivi, sviluppa rapporti consolidati con i pescatori e i mercati ittici, assicurando materie prime di qualità superiore rispetto ai locali stagionali. «La differenza alla fine la fa il ristoratore – spiega Jacopo Ticchi di Lucio a Rimini – chi lavora bene d’estate è colui che lavora bene tutto l’anno». La catena del freddo, la capacità di comunicare ai clienti le disponibilità giornaliere e l’attenzione ai periodi di fermo pesca diventano elementi imprescindibili per garantire pesce fresco e sicuro.
Il terzo punto riguarda il prezzo: il pesce buono ha un costo, e il cliente deve essere disposto a riconoscerlo. Come sottolinea Pascucci, «il denaro comanda tutto. Non posso pretendere di pagare 400 grammi di scampi a 12 euro…». Anche la vicinanza a mercati ittici importanti aiuta: in Italia, porti come Chioggia, Mazara del Vallo, Ancona, Livorno, Rimini e persino Milano fungono da hub principali per distribuire pesce fresco a ristoranti e gastronomie di livello. Il mito del pesce migliore a Milano, lontano dal mare, dimostra come una logistica efficiente possa sostituire, almeno in parte, la salsedine.
Ma allora, cosa ci mangiamo in Calabria? Qui la tradizione e la qualità incontrano il territorio: il mercato del pesce funziona nei porti di Corigliano Rossano, a Schiavonea, grazie al lavoro quotidiano dei pescatori di Cetraro, ma anche lungo la costa tirrenica, nei porti di Bagnara Calabra, Palmi e Scilla. Sul versante ionico, Trebisacce, Amendolara e Rocca Imperiale custodiscono un patrimonio ittico che coniuga freschezza, stagionalità e rispetto della tradizione marinara. È nei piccoli porti calabresi, nella fatica dei pescatori e nella passione dei ristoratori storici, che il mito del pesce fresco trova oggi la sua migliore concretezza.
E allora, in Calabria, cosa ci mangiamo davvero?