L’autunno, a Serra San Bruno, ha un profumo particolare: quello dei funghi appena raccolti nei boschi delle Serre. E se c’è qualcuno che conosce a memoria ogni angolo e ogni varietà, quello è il professor Maurizio Siviglia, presidente del Gruppo Micologico ed Escursionistico “Abete bianco” e fondatore del museo botanico micologico Villa Bonitas. Così, armato di cestino, Siviglia ci ha accompagnato tra i boschi raccontando con chiarezza cosa cercare e cosa evitare.

I protagonisti del bosco

Il professore non ha dubbi: «Il fungo principale è il Boletus», il Porcino, re dei boschi, che si presenta in quattro tipi. «Adesso esce l’aestivalis, il cosiddetto porcino estivo, poi a fine settembre o in novembre arriva l’edulis».
C’è poi il “Lungudito” (Hygrophorus pudorinus), legato all’abete bianco: «Se non lo trovi, vuol dire che la pianta non è spontanea ma trapiantata».

E ancora i “Rociti” (Lactarius deliciosus), che crescono sotto abete e pino, i “Lattari”, l’ovulo (Amanita ovoidea) e il “Mazzuolo”, che tutti raccolgono per cucinarlo al forno ripieno. Tra le curiosità, il Craterellus cornucopioides, chiamato anche “fungo della morte”: «Nessuno lo piglia, ma si può essiccare e grattugiare sulla pasta come fosse parmigiano».

Un’annata particolare

«Per quanto riguarda il Boletus aestivalis, c'è stata una settimana ottima», spiega Siviglia. Poi però è arrivata la siccità: «Senza pioggia il terreno si è seccato e la crescita dei funghi si è fermata». Tutto, sottolinea, dipende da umidità, temperature, pioggia e sole, mentre il vento resta il peggior nemico dei funghi.
Accanto al porcino estivo, ricorda, c’è un’altra specie tipica: «L’Hygrophorus è il fungo caratteristico di Serra San Bruno. La gente - racconta col sorriso - prova molto più gusto nel cercarlo che nel mangiarlo».

Consigli da maestro: quando e come raccoglierli

Il professor Siviglia insiste su un principio: prudenza e rispetto. «Si raccolgono solo i funghi che si conoscono bene, gli altri meglio lasciarli, o mostrarli a un micologo». Molti esemplari, infatti, si somigliano: «Di Boletus ce ne sono centinaia, alcuni velenosi, altri immangiabili perché acri». Anche l’attrezzatura è importante: mai buste di plastica, ma cestini che permettono alle spore di cadere a terra. E mai da soli: «Meglio andare con qualcuno esperto e non toccare mai le amanite», i più velenosi. Il più iconico è quello rosso punteggiato di bianco, il classico fungo delle favole.

Il periodo, invece, varia secondo le condizioni climatiche: «in primavera spuntano le Morchelle, in estate i Boletus aestivalis, mentre con le prime piogge autunnali si sviluppano molte altre specie. Alcune, però, non si possono raccogliere da piccole perché non hanno ancora la capacità di riprodursi».

Fondamentale è rispettare la fungaia: «Mai scavare o strappare i porcini troppo giovani. Il micelio è come una semina: oggi raccogli dieci funghi, domani altri cinque. Ma se lo disturbi, perdi la produzione per sempre».

Il ruolo nascosto dei funghi

Non sono solo buoni da mangiare. I funghi sono fondamentali per la vita del bosco. «Sono importanti quanto e più degli alberi», sottolinea Siviglia. «Ci sono funghi simbionti, come le micorrize, che aiutano le radici a nutrirsi. Ci sono i saprofiti, che fanno da spazzini decomponendo la materia organica. E poi i parassiti, che si nutrono degli alberi morenti».

Attenzione: bellezza pericolosa

Tra le meraviglie del bosco si nascondono anche insidie. E allora la domanda al professore va da sé: come si riconoscono i funghi velenosi?
«Bisogna osservare bene il gambo, l’anello, la profondità e persino l’odore», spiega Siviglia. Alcune specie, come Tricholoma e Cortinari, sono tra le più pericolose. E l’avvertimento è netto: «L’avvelenamento grave si manifesta dopo poche ore, sembra attenuarsi, ma poi colpisce in modo irreversibile fegato e reni».

Per questo, davanti a un fungo sospetto, meglio rinunciare al piatto e godersi la passeggiata: il bosco, anche senza cestino pieno, regala sempre sorprese.