Per contrastare lo spopolamento, il comune ha aderito a un bando regionale che offre incentivi ai nuovi residenti o a chi avvia attività nel territorio. Piccoli segnali di rinascita tra chi sceglie di restare o tornare
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C’è un silenzio nuovo in Calabria. Non è quello delle sere d’estate, quando il vento dell’Aspromonte porta l’odore del mare fino ai vicoli dell’interno. È un silenzio più profondo, più inquieto: quello delle case chiuse, delle scuole senza bambini, dei treni che partono e non tornano.
Negli ultimi vent’anni la regione ha perso circa 162.000 giovani tra i 18 e i 34 anni, pari a un calo del 32,4% in quella fascia d’età. La popolazione residente al 31 dicembre 2023 era di 1.838.568 persone, in calo rispetto all’anno precedente. Dietro ogni valigia c’è una storia: un ragazzo che lascia la sua terra dopo averci creduto troppo, un genitore che abbassa lo sguardo all’aeroporto, un paese che si svuota e non sa più cosa celebrare nelle feste di piazza. È lo spopolamento, la grande malattia del Sud, e la Calabria ne è il laboratorio più doloroso.
Economia bloccata, lavoro fragile
L’economia regionale resta ancorata a un modello vecchio di trent’anni: microimprese senza rete, turismo stagionale, agricoltura senza filiera, infrastrutture incomplete.
Tra il 1995 e il 2024 la regione ha visto diminuire gli occupati nella fascia 15-64 anni passando da circa 1,296 milioni a circa 1,163 milioni — un calo del 10,3%, il peggior risultato tra tutte le macroaree italiane.
Inoltre, tra il 2023 e il 2024, la media salariale in Calabria è passata da 27.297 euro lordi annui a 28.010 euro: un aumento, sì, ma la regione resta al penultimo posto nella graduatoria nazionale.
Nel settore del commercio, del turismo, della ristorazione, tra il 2019 e il 2024 sono scomparse oltre 35.600 imprese guidate da under 35 in Italia, con la Calabria tra le regioni più colpite (calo oltre il 38% per le imprese giovani).
Il risultato è una regione con un modello di sviluppo debolissimo, che non attrae, che non trattiene — e che rischia di restare intrappolata in una spirale negativa.
Il tessuto sociale che si assottiglia
La denatalità e l’emigrazione si combinano per creare un “inverno demografico”: tra il 2019 e il 2024 la fascia 0-18 anni è calata di ben 24.675 unità in Calabria.
Il 44,54% degli immobili della regione non è occupato permanentemente dalla popolazione residente: segno di borghi svuotati, case vuote, comunità che si svuotano.
Esempio concreto: Soveria Mannelli
Ecco una testimonianza locale del fenomeno. Soveria Mannelli, borgo montano della provincia di Catanzaro, è un caso emblematico. La popolazione nel 2001 era di circa 3.504 abitanti.
Al 31 maggio 2025 il Comune contava circa 2.750 abitanti, secondo l’articolo che ne parla in occasione dell’adesione al bando regionale “Abita borghi montani”.
Per contrastare lo spopolamento, Soveria Mannelli ha aderito a un bando regionale che offre incentivi ai nuovi residenti o a chi avvia attività nel territorio: il finanziamento supererebbe i 100.000 euro.
Questo comune, come tanti altri internamente alla Calabria, mostra come il fenomeno non sia astratto ma concreto, casa per casa, via per via: giovani che vanno, case che restano vuote, borghi che cercano di reinventarsi.
Il linguaggio della speranza
Eppure non è solo colpa del potere politico. È anche un problema di fiducia collettiva, di comunità smarrita. In molti paesi della Calabria interna, la parola “futuro” è diventata un sinonimo di “altrove”. E quando il futuro si sposta, anche la dignità rischia di partire con lui.
Ma la Calabria non è una terra rassegnata. Lo dimostrano i giovani che tornano per aprire un’azienda agricola biologica, per restaurare una casa antica, per organizzare un festival culturale, per insegnare dove nessuno vuole più insegnare. Sono piccoli luci in un paesaggio difficile, ma proprio per questo preziose.
Servirebbe però un patto nuovo, non solo tra istituzioni, ma tra generazioni. La Calabria non può continuare a essere una regione che cresce solo nei ricordi di chi la lascia. Ha bisogno di un progetto condiviso, di una politica che smetta di rincorrere l’emergenza e cominci a costruire il possibile.
Non bastano slogan o passerelle. Servono scuole che funzionano, trasporti che collegano, ospedali che curano, università che formano e trattengono. Serve un’economia che non sfrutti la nostalgia, ma la trasformi in energia.
Il tempo che non torna non si può recuperare. Ma si può smettere di perderlo.

