Giovanna, il nome è di fantasia, lavora in un liceo di Corigliano-Rossano, nell’Alto Jonio cosentino, come insegnante di sostegno. Dopo l’abilitazione, ottenuta nel 2008, ha vissuto per anni a Monza e, poi, a Genova, prima di ottenere il trasferimento, ma soltanto in Puglia. È una traiettoria che non ha nulla di eccezionale: è piuttosto una linea spezzata, fatta di spostamenti successivi, di ritorni differiti, di incertezze che diventano permanenze. Come accade a molti, la sua biografia lavorativa coincide con una geografia forzata.

Dal 2022 chiede e ottiene di essere assegnata provvisoriamente sul sostegno perché sulla disciplina è pressoché impossibile. Anche questo è un dato che non sorprende. Il sostegno, più che una scelta, diventa una possibilità praticabile, un varco ancora aperto dentro un sistema che altrove appare chiuso. È una condizione transitoria che tende a stabilizzarsi, un tempo sospeso che si rinnova di anno in anno. La domanda, tuttavia, resta inevasa: per quanti altri anni potrà ancora farlo?

I posti disponibili, infatti, sono sempre più appannaggio di chi fruisce dei benefici della legge n. 104/92, che tutela i diritti delle persone con disabilità grave e dei loro familiari. È una norma necessaria, che risponde a bisogni reali, ma che incide profondamente sulle dinamiche di mobilità, ridisegnando le possibilità di rientro e restringendo ulteriormente gli spazi per chi non può avvalersene. Giovanna non può farlo. La sua posizione resta scoperta, priva di corsie preferenziali, affidata alla combinazione sempre incerta tra punteggi, disponibilità residue, assegnazioni temporanee.

Le farebbe comodo insegnare nella scuola della sua città, anche perché da due anni convive con l’amore della sua vita, una delle ragioni, forse la più importante, per cui ha scelto di tornare. Non si tratta di un progetto astratto, ma di una necessità concreta: vivere nello stesso luogo in cui si lavora, non dover misurare ogni scelta sulla distanza, sui chilometri, sulle coincidenze. Tornare, in questo senso, non è un gesto nostalgico, ma un tentativo di riallineare vita e lavoro, affetti e professione.

La storia di Giovanna vale allora per molte altre storie simili, disseminate in Calabria. Insegnanti, operatori, professionisti che hanno lasciato la regione per costruirsi un futuro e che, una volta maturata l’esperienza necessaria, scoprono quanto sia difficile rientrare davvero. Il ritorno non coincide con l’approdo: è spesso una permanenza instabile, una presenza condizionata da soluzioni provvisorie, da incarichi che non garantiscono continuità.

In questo quadro, il sostegno diventa uno spazio di possibilità ma anche di attesa, un ruolo che tiene insieme competenza e adattamento. Non è una condizione definitiva, ma rischia di diventarlo per mancanza di alternative. Giovanna continua a lavorare, a chiedere, a rinnovare la sua posizione ogni anno. Come molti altri, resta in equilibrio tra ciò che è consentito e ciò che resta fuori portata. Non c’è nulla di straordinario in questa storia ed è forse proprio questo il suo valore esemplificativo.