Salvini vorrebbe l’abolizione della legge Lorenzin del 2017, il deputato leghista Borghi insiste: «Ci riproveremo». Forza Italia difende lo strumento scientifico, FdI resta prudente
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Il terreno delle vaccinazioni, con tutto il carico di sensibilità che porta con sé, torna al centro del dibattito politico. A riaccenderlo è stata la polemica sul Nitag, il comitato tecnico-scientifico che affianca il ministero della Salute nelle decisioni sulle immunizzazioni. Una vicenda apparentemente tecnica che, in poche ore, si è trasformata in terreno di scontro.
Il ministro Orazio Schillaci aveva nominato 22 esperti per comporre il nuovo organismo, salvo poi revocarne due – Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite – a causa delle loro posizioni critiche sull’obbligo vaccinale. Una mossa che ha aperto la strada all’intervento del leader della Lega, Matteo Salvini, che ha colto l’occasione per rilanciare una proposta storica del suo partito: superare l’obbligo introdotto nel 2017 dall’allora ministra Beatrice Lorenzin.
«Dirsi dubbiosi sull’obbligo non è antiscientifico, ma buon senso», ha dichiarato il vicepremier, sottolineando che in molti Paesi europei la copertura vaccinale è garantita senza l’imposizione per legge. Non è la prima volta che Salvini prende posizione su questo terreno, già al centro di polemiche durante la pandemia. Ma la tempistica – a pochi giorni dal caso Nitag – ha reso la sortita particolarmente significativa.
Accanto a lui è tornato a farsi sentire Claudio Borghi, deputato leghista che già nel 2024 aveva presentato un emendamento per cancellare l’obbligo. «Ci riproveremo», ha ribadito, sostenendo che l’Italia sia rimasta un’eccezione nel panorama internazionale. Una posizione che, di fatto, riapre una frattura mai sanata del tutto: quella tra scienza, politica e opinione pubblica, con il rischio di far tornare d’attualità divisioni che la pandemia aveva reso ancora più radicali.
Dal fronte degli alleati, le reazioni mostrano la diversità di vedute. Forza Italia ha difeso con decisione la scelta di mantenere l’obbligo, rivendicandone il valore come strumento di prevenzione. Fratelli d’Italia,
invece, continua a mantenere una linea più sfumata: nel partito convivono posizioni di sostegno alla scienza e voci più scettiche, una contraddizione che ha fatto emergere anche in passato tensioni interne.
Non manca chi, all’interno della stessa Lega, si discosta dalla linea del segretario. Il presidente del Veneto Luca Zaia ha ribadito l’importanza delle vaccinazioni, pur mantenendo riserve sull’impostazione rigida della norma Lorenzin. Segno che il tema, lungi dall’essere pacifico, rimane una questione delicata persino per chi governa a livello locale.
La legge del 2017 ha introdotto l’obbligo di dieci vaccinazioni pediatriche, con l’impossibilità di iscrivere i figli a scuola in caso di inadempienza. Una misura duramente contestata all’epoca, ma che secondo la maggior parte degli esperti ha contribuito a innalzare le coperture e a contenere il rischio di focolai, in particolare per morbillo e pertosse.
Gli esperti, dal canto loro, non sembrano avere dubbi: l’obbligo resta uno strumento fondamentale in Paesi dove la fiducia spontanea non basta a garantire livelli adeguati di copertura. Serravalle e Bellavite, al contrario, hanno più volte sostenuto che i bambini non vaccinati sarebbero più sani dei vaccinati: una posizione contestata dalla comunità scientifica, ma che trova eco in un pezzo dell’opinione pubblica diffidente verso l’obbligo.
La nuova memoria depositata in Parlamento da Borghi ha riportato il dibattito all’interno della maggioranza, con il rischio di trasformare un tema sanitario in un nuovo terreno di battaglia politica. La pandemia ha lasciato ferite ancora aperte e la discussione sui vaccini, anche quando riguarda la scuola e la salute dei bambini, rischia di trasformarsi in uno scontro ideologico.
In questo quadro, il rilancio della Lega sembra andare oltre la sola dimensione sanitaria. Più che l’efficacia delle vaccinazioni, nessuno oggi in realtà mette in discussione, è l’idea stessa di obbligo che viene utilizzata come terreno di consenso. Un terreno sensibile, dove diffidenza e libertà individuale si intrecciano con la politica.
La partita, insomma, non si gioca solo nelle aule parlamentari o nei comitati tecnici, ma nelle piazze e tra gli elettori. Dove, ancora una volta, il tema dei vaccini rischia di diventare strumento di identità e bandiera ideologica.