La regione risulta ultima in Italia nelle campagne di prevenzione contro i tumori. A pesare è soprattutto la disorganizzazione del pubblico che non riesce a coinvolgere la popolazione target ma c’è anche una sottovalutazione del rischio. Al Sud in molti pensano di non aver bisogno di monitorarsi
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C’è anche una sottovalutazione del rischio nella scarsa adesione ai programmi di screening oncologici che in Calabria, ed in generale nel sud Italia, mostrano ancora evidenti scostamenti rispetto alla media nazionale. La Calabria ultima regione d’Italia, lo ha certificato la Fondazione Gimbe analizzando il report realizzato dall’Osservatorio nazionale screening relativo all’annualità 2023 da cui emerge un combinato disposto di disaffezione della popolazione nei confronti dei programmi di prevenzione oltre all’immancabile disorganizzazione nella gestione degli inviti.
Le campagna di screening
Il successo delle campagne di screening si misurano infatti su due fattori: la capacità delle Regioni e delle aziende locali di organizzare i programmi attraverso inviti rivolti alla popolazione target sulla base delle patologie da indagare e la disponibilità delle persone coinvolte a sottoporsi ai test gratuiti. Uno strumento che dovrebbe consentire – attraverso una massiva adesione - di individuare l’insorgenza di patologie tumorali ed intervenire precocemente. Ma probabilmente non è un caso che l’Istituto superiore di sanità assegni proprio alla Calabria il triste primato di regione con l’indice di mortalità più elevato.
Deficit organizzativo
Innanzitutto vi è un deficit organizzativo da parte delle aziende sanitarie provinciali. Queste dovrebbero coinvolgere il maggior numero di popolazione per fasce d’età in relazione ai tre programmi screening: tumore alla mammella, al collo dell’utero e al colon. Ma così non è. Secondo la Fondazione Gimbe, i dati che riguardano l’estensione, la percentuale di persone a ricevere un invito, sono ben al di sotto della media nazionale.
Scarsa adesione
Ben più impressionanti sono i dati che riguardano l’adesione: l’8% allo screening mammografico, il 17% a quello cervicale e, infine, il 4% al colon-rettale. Dal report emerge, innanzitutto, una chiara sottovalutazione del rischio, soprattutto nelle regioni del sud Italia. L’osservatorio, attraverso un sondaggio, ha infatti analizzato le principali ragioni che inducono le persone a non sottoporsi ai programmi organizzati di screening: la principale motivazione addotta è di “non pensare di averne bisogno” (21% per lo screening mammografico, 27% per il cervicale e il 31% per il colon retto).
Pigrizia e mancanza di tempo
Ad influire come secondo fattore vi è la “pigrizia” e la circostanza di “non aver tempo” e infine perché “nessuno lo ha consigliato”. I dati si riferiscono al biennio 2022/2023 e per l’intera macroarea del sud Italia. In Calabria, tuttavia, la scarsa adesione alla campagna di screening non è indice assoluto di assenza di sensibilità al tema della prevenzione in campo oncologico.
Al di fuori dei programmi screening
Vi è infatti una fetta di popolazione che esegue ugualmente visite ed esami di controllo periodici in relazione alle tre patologie ma al di fuori dei programmi organizzati dalle Asp. Ad esempio, il 34% delle donne comprese tra 50 e 69 anni ha eseguito una mammografia preventiva sostenendo il costo della spesa. Lo stesso vale per i test di diagnosi precoce del tumore al collo dell’utero: tra il 2022 e il 2023 sono state ben il 39% delle donne d’età compresa tra i 25 e i 64 anni.
Infine, i test per individuare precocemente il tumore al colon, in questo la percentuale è molto più ridotta: l’11% della popolazione compresa tra 50 e i 69 anni lo ha eseguito al di fuori dei programmi organizzati di screening, quindi a pagamento.