C’è un’Italia che il governo ama raccontare come il Paese delle opportunità e dell’ottimismo, un luogo dove la crescita è vicina, i conti tornano e la vita migliora. Poi però arrivano i numeri. E i numeri dell’Istat, nel nuovo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile 2024, disegnano un’altra storia. Meno brillante, molto meno rassicurante, soprattutto distante dall’immaginario costruito nei discorsi ufficiali. La fotografia scattata dall’istituto nazionale è nitida: il rischio di povertà nel nostro Paese è al 18,9%. Quasi un italiano su cinque. Molto sopra quel 16,2% che rappresenta la media dell’Unione europea. Significa che, mentre la narrativa politica procede spedita, il terreno sotto i piedi di milioni di famiglie continua a erodersi lentamente.

La disuguaglianza del reddito netto non va meglio. Con un valore pari al 5,5%, contro il 4,7% europeo, l’Italia rimane nell’area dei Paesi dove le distanze sociali si allargano, non si restringono. È un’immagine che racconta più di tante dichiarazioni: un Paese che cresce a velocità diverse, dove chi sta in alto continua a salire e chi sta in basso scivola sempre più giù.

Non è un caso che il baratro sia più evidente nelle regioni del Mezzogiorno. Campania e Puglia, in particolare, mostrano oltre sette indicatori su dieci peggiori della media nazionale. Una frattura geografica e sociale che resiste da decenni e che oggi sembra addirittura più profonda.

Eppure, nella complessità di questo quadro, qualche luce c’è. Il costo dell’abitazione pesa meno che nel resto d’Europa, e questo paradossalmente aiuta il bilancio delle famiglie. Anche gli indicatori di deprivazione materiale e di difficoltà ad arrivare a fine mese posizionano l’Italia in una condizione leggermente migliore rispetto alla media continentale. Ma sono spiragli, non inversioni di tendenza. Perché quando si osserva l’insieme, lo squilibrio torna a dominare.

Sul fronte Salute e Sicurezza, i numeri sono decisamente più confortanti. La mortalità evitabile è tra le più basse d’Europa, con un tasso di 17,6 ogni 10mila abitanti, ben al di sotto dei 25,8 della media Ue. La speranza di vita raggiunge gli 84,1 anni, valore che supera di oltre due punti la media europea. E il tasso di omicidi è tra i più bassi dell’intero continente. È un’Italia che sembra vivere più a lungo, meglio protetta e meno soggetta a lutti violenti. È l’altra faccia della medaglia, quella che il governo ama mettere in primo piano.

Ma basta tornare ai dati generali del Bes per vedere che il quadro cambia di nuovo. Dei 137 indicatori monitorati, solo un terzo migliora in modo significativo rispetto all’anno precedente. Quasi il 40% rimane stabile, mentre oltre un quarto peggiora. E in domini cruciali come Sicurezza e Politica e Istituzioni la quota degli indicatori in peggioramento è addirittura la più alta. È un segnale che racconta istituzioni meno percepite come efficaci, un clima sociale più incerto, una fiducia che fatica a reggere.

Nel lungo periodo, il Paese mostra segnali più incoraggianti: oltre metà degli indicatori migliora rispetto a dieci anni fa, mentre solo sedici peggiorano. L’innovazione, la creatività, la qualità delle istituzioni e della vita soggettiva segnano progressi importanti. La Sicurezza migliora in tutti i suoi aspetti, un risultato che pochi Paesi europei possono rivendicare con la stessa forza. Ma anche qui l’Italia sembra comportarsi come una creatura bifronte: capace di risultati solidi, ma vulnerabile quando il discorso si sposta sulle relazioni sociali, uno dei domini con i peggioramenti più sensibili.

La mappa italiana del benessere, poi, sembra la fotografia di un Paese che corre a più velocità. Al Nord e al Centro, con rare eccezioni, oltre il 60% degli indicatori supera la media nazionale. Trento, Bolzano, Veneto e Friuli-Venezia Giulia superano addirittura il 70%. Sono territori che trainano l’immagine europea dell’Italia, che offrono servizi più efficienti, reti sociali più solide, economie locali più dinamiche. Al Sud, invece, l’immagine è opposta. In Campania e Puglia, più di sette indicatori su dieci si collocano al di sotto della media italiana. Una sproporzione che racconta non solo il divario storico, ma la difficoltà di recuperarlo.

Il racconto ufficiale parla di un’Italia che ce la sta facendo. L’Istat, invece, racconta un Paese che resiste, ma fatica. Dove le eccellenze esistono, ma convivono con fragilità antiche. Dove la speranza di vita è alta, ma la qualità della vita è sempre più diseguale. Dove il benessere cresce, ma non per tutti. E dove le storie cambiano molto a seconda di dove si nasce. L’immagine reale è quella di un Paese che non è un “Paese delle meraviglie”: è un Paese che regge, che prova a rialzarsi, ma che fa i conti ogni giorno con numeri che non hanno nulla di magico. Solo una verità che continua a chiedere di essere guardata senza filtri.