Demetra 2

Autobomba di Limbadi, per due giovani di Soriano cade l’accusa di aver costruito e piazzato l’ordigno

Sei condanne nell’ambito del processo Demetra 2. Tuttavia regge solamente la contestazione legata al traffico di droga e all’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti

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di G. B.
26 luglio 2022
14:35

Il processo nato dall’operazione antimafia denominata “Demetra 2” celebrato a Catanzaro con rito abbreviato dinanzi al gup distrettuale Marco Ferrante si chiude con sei condanne. Cadono le accuse di concorso nell’omicidio di Matteo Vinci e nel tentato omicidio di Francesco Vinci per i fatti dell’autobomba di Limbadi. Questa la sentenza:

  • 10 anni e 8 mesi per Filippo De Marco, 42 anni per il quale era stata chiesta la condanna all’ergastolo;
  • 10 anni per Antonio Criniti, 31 anni (assistito dall’avvocato Pamela Tassone), nei cui confronti era stata analogamente chiesta la condanna all’ergastolo; 
  • 16 anni per Vito Barbara (il pm aveva chiesto 20 anni);
  • 8 anni per Domenico Bertucci (così come la richiesta del pm);
  • 9 anni per Pantaleone Mancuso (l’accusa aveva chiesto 9 anni e 2 mesi);
  • 3 anni e 9 mesi per Alessandro Mancuso (erano stati chiesti 7 anni e 8 mesi).

L’autobomba a Limbadi

Filippo De Marco e Antonio Criniti – secondo l’originaria accusa – per sdebitarsi della cessione di sostanze stupefacenti per il costo di settemila euro, avrebbero fabbricato e materialmente posizionato la micidiale bomba che ha fatto saltare in aria l’auto sulla quale il 9 aprile 2018 viaggiavano Matteo Vinci, deceduto, ed il padre Francesco Vinci che è rimasto gravemente ferito. I reati erano tutti aggravati dalle modalità e dalle finalità mafiose. I mandanti della spedizione di morte venivano indicati in Rosaria Mancuso, 66 anni, e nel genero Vito Barbara, 31 anni, i quali per tale accusa hanno seguito il processo con rito ordinario dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro e condannati nel dicembre scorso alla pena dell’ergastolo.


Criniti e De Marco avrebbero approfittato di un momento in cui Francesco Vinci si trovava in una zona isolata in compagnia solo del figlio Matteo Vinci per portare a termine l’azione criminale culminata con l’esplosione della radio-bomba. L’accusa di omicidio, tentato omicidio, danneggiamento, porto illegale di esplosivo ed estorsione non ha però per loro retto, essendo stati condannati solo per il reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. Pantaleone Mancuso (cl. ’63) e il nipote Alessandro Mancuso, 23 anni – nessun legame di parentela diretta con la più famosa famiglia dei Mancuso – in concorso con Vito Barbara, Antonio Criniti, Filippo De Marco e Domenico Bertucci, 29 anni, di Spadola, erano accusati di essersi associati stabilmente per la coltivazione, trasporto, spaccio e cessione di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana).

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Giornalista
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