Il Csm si prepara a eleggere il nuovo Primo Presidente della Suprema Corte: il reggino è favorito su Mogini. Ma tra divisioni interne e pressing del Quirinale sul voto si intrecciano le sfide istituzionali sullo stato di diritto
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All’interno dell’Associazione nazionale magistrati il clima di contrapposizione tra correnti ha raggiunto livelli tali da sfiorare l’autolesionismo. Le stesse fratture che attraversano il Paese si riflettono oggi nel Consiglio Superiore della Magistratura, chiamato il 4 settembre a scegliere il nuovo Primo Presidente della Corte di Cassazione. Una decisione cruciale, poiché riguarda la guida dell’organo supremo deputato a garantire l’uniformità dell’interpretazione e dell’applicazione della legge, in un contesto segnato da anni di conflitto istituzionale attorno allo stato di diritto.
Il conflitto tra magistratura e politica
La contrapposizione si gioca su terreni sensibili e ad alto rilievo costituzionale: dalla separazione delle carriere al disegno di legge sulla cosiddetta “giustizia distopica”, fino al nodo delle intercettazioni, in particolare quelle preventive effettuate dai servizi. Su questi temi si confrontano le toghe e il mondo politico, mentre la scelta del vertice della Cassazione diventa lo specchio di una magistratura frammentata, non meno della politica.
Due candidati di alto profilo
A contendersi l’incarico sono Pasquale D’Ascola, attuale Presidente aggiunto della Cassazione, e Stefano Mogini, Segretario generale della stessa Corte. Entrambi magistrati stimati, con qualità personali e professionali capaci di attenuare lo scontro tra correnti, hanno riportato consensi significativi in Quinta Commissione del Csm. D’Ascola ha ottenuto quattro voti su sei, tra cui quelli di Ernesto Carbone (laico, ex Italia Viva), Maurizio Carbone (Area), Mimma Miele (Magistratura Democratica) e Michele Forziati (Unicost). Mogini ha raccolto i voti di Claudia Eccher (quota Lega) ed Eligio Paolini (Magistratura Indipendente).
L’orientamento del Csm e il ruolo del Quirinale
D’Ascola, coetaneo e compagno di studi dell’attuale Procuratore Generale della Cassazione Pietro Gaeta, sembra avviato a mantenere il vantaggio anche al Plenum, salvo imprevisti. Pesano in particolare le scelte dei laici e l’atteggiamento del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, orientato all’astensione. Per Mogini potrebbero arrivare i voti dei consiglieri di Magistratura Indipendente e dei laici di centrodestra. Non è però da escludere che, constatata la spaccatura, prevalga l’invito del Quirinale a una scelta unanime: questa volta sotto la diretta presidenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella.
La sfida istituzionale sullo stato di diritto
Il voto cade in uno dei momenti più delicati del braccio di ferro tra governo, maggioranza parlamentare e magistratura. In discussione non ci sono soltanto rapporti di forza, ma la concezione stessa della giustizia e del ruolo costituzionale delle toghe. Emblematica in questo senso è la riforma Nordio e, soprattutto, il disegno di legge 1517, ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato.
La giustizia predittiva e i rischi per i diritti
Il ddl introduce la possibilità di indagini “predittive” basate su algoritmi, che non si fondano su prove ma su dati personali e fattori critici dei cittadini: precedenti, condizioni sanitarie, appartenenza etnica, orientamento sessuale, convinzioni religiose e politiche, status socioeconomico. Uno screening preventivo che rischia di violare l’articolo 13 della Costituzione, che tutela libertà personale e privacy. Una prospettiva di giustizia distopica, aggravata dalle zone d’ombra mai risolte delle intercettazioni istituzionali e parallele, da decenni terreno di ricatti, nomine pilotate e speculazioni.
Cassazione, ultimo baluardo di garanzia
In questo scenario, la Corte di Cassazione resta il presidio che radiografa in profondità il funzionamento del Paese e le sue zone d’ombra. Dopo l’esperienza di Margherita Cassano, prima donna al vertice e figura unanimemente apprezzata per equilibrio e autorevolezza, la scelta del nuovo Primo Presidente assume un valore che va ben oltre la dimensione interna della magistratura. È il banco di prova di un’Italia che si interroga sul proprio rapporto con la giustizia, lo stato di diritto e la credibilità delle istituzioni.