Nel format “A tu per tu” l’imprenditore di Reggio Calabria ripercorre la sua lunga battaglia contro la criminalità organizzata e chiede che gli sia ripristinata la scorta. Le denunce, le minacce, gli attentati e quella volta che il figlio rischiò di morire in un incendio doloso
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Il format “A Tu per Tu” de ilReggino.it ha raccolto la sua testimonianza toccante, che è un atto d’accusa ma anche un appello alla coscienza collettiva. Dal giorno in cui ha deciso di non pagare il pizzo e denunciare, la sua vita è diventata un bersaglio mobile. E la 'ndrangheta, oggi, non ha dimenticato. Trent'anni di coraggio, trent'anni di solitudine. Franco Gaetano Caminiti, imprenditore di Reggio Calabria, ha dedicato metà della sua vita a combattere la 'ndrangheta, denunciando estorsioni e soprusi. Le sue testimonianze hanno contribuito a importanti operazioni di polizia, come "Gambling", "Casco" e "Las Vegas", portando all'arresto di numerosi esponenti della criminalità organizzata.
Ma il prezzo pagato è stato altissimo. Attentati, minacce di morte, tentativi di omicidio: la sua vita e quella della sua famiglia sono state costantemente in pericolo. Nel 2011, è sopravvissuto a un agguato a colpi di pistola; nel 2016, un incendio doloso ha messo a rischio la vita di suo figlio. Nonostante tutto, Caminiti non ha mai smesso di denunciare. Ha presentato oltre 65 denunce, contribuendo a smantellare reti criminali legate al gioco d'azzardo e all'estorsione. «Non dimenticano e non mi perdoneranno mai per quello che ho fatto contro di loro».
Tuttavia, dopo sette anni senza scorta, le minacce sono tornate. A dicembre 2024, una busta contenente un proiettile e la scritta "Sei morto, ti diamo in pasto ai maiali" è stata recapitata alla sua attività. Ad aprile 2025, un'altra lettera minatoria con la frase "Morto parlanti che camina apri l’occhio si mortu" è stata trovata nel suo negozio. Il messaggio è chiaro: la vendetta non è finita.
Ma l’episodio più drammatico, quello che Caminiti non riesce a dimenticare, è l’attentato incendiario che ha rischiato di uccidere suo figlio. «Solo per miracolo è uscito vivo. Io posso sopportare tutto, ma non posso più rischiare la vita della mia famiglia».
Caminiti si sente abbandonato dallo Stato. Ha scritto al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo, chiedendo il ripristino della scorta. «Vivo nel terrore che mi possano uccidere da un momento all’altro. E nessuno fa niente. Sono invisibile» ha dichiarato. La sua storia è un monito per le istituzioni e per la società civile: chi denuncia la criminalità organizzata non può essere lasciato solo. Caminiti chiede protezione, ma soprattutto riconoscimento e solidarietà. Perché la lotta alla 'ndrangheta non può essere combattuta da soli.
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