Emanuele Mancuso al Tribunale dei minori: «Mia figlia in mano ai clan. È negli atti»

Il presidente del Tm aveva risposto alla lettera del collaboratore di giustizia sostenendo che la bambina si trovava in una località protetta. Ma il rampollo della cosca di Limbadi annuncia di rivolgersi al Csm

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di Redazione
13 gennaio 2021
21:56

«Che mia figlia sia in mano alla 'ndrangheta è palese in quanto emerge dagli atti». È quanto afferma il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso replicando al presidente del Tribunale dei minorenni di Catanzaro Teresa Chiodo.

 


Il collaboratore, nei giorni scorsi, aveva affermato che la figlia si trovava "in mano al clan" ed il magistrato aveva risposto che era invece "in località protetta". Mancuso, in una lunga lettera, annuncia oggi di voler chiedere l'intervento del Csm «affinché valuti tutte le anomalie esposte e per la mancata adesione alla risoluzione dell'anno 2017 relativa ai figli dei collaboratori di giustizia. Provvederò, altresì, fornendo tutti gli elementi a me noti, ad informare l'Autorità giudiziaria territorialmente competente per dare luce alla triste vicenda che sta riguardando la mia bambina».

 

Il collaboratore afferma che «il presidente del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, organo che non dovrebbe esprimersi al fine di garantire l'imparzialità delle decisioni, anziché svolgere la sua funzione, mediante l'assunzione di provvedimenti ufficiali ed urgenti, a tutela dei minori, ivi compresa mia figlia, impiega il suo tempo a rettificare a quanto consacrato negli atti di un fascicolo. A parer mio il presidente Chiodo ha avuto la necessità di uscire pubblicamente con la rettifica alle mie affermazione, ritenendole 'false', solo ed esclusivamente per tentare di sollevare il Tribunale per i Minorenni da palese responsabilità facendo ricadere le possibili colpe su altri organi istituzionali che poco c'entrano con questa vicenda».

 

Mancuso pone una serie di domande sulla situazione della bimba di pochi mesi chiedendosi, tra l'altro, perché non è stata presa una decisione quando «la madre, in data 18 novembre 2020, ha portato la minore in un sito protetto per farla partecipare ad un processo di ‘ndrangheta  consentendogli, peraltro, di essere inquadrata più volte pubblicamente, ed esser vista  da boss e gregari?». E ancora, si domanda, «perché mia figlia è stata collocata in località protetta, dopo tre mesi, dopo un iter travagliato, numerosi rigetti e solamente con decreto del 31 maggio 2019, a seguito del tentato omicidio ai danni di Domenique Signoretta, uomo di fiducia di Pantaleone Mancuso alias 'L'Ingegnere'?».

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