L’indagato riminese accusato di contraffazione: opere per 1,5 milioni non autentiche secondo le prime verifiche tecniche
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La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Gianfranco Rosini, 61 anni, originario di Rimini, indagato a Cosenza per presunta contraffazione di opere attribuite ad Andy Warhol. Il sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria il 25 marzo 2025, poi convalidato dalla Procura e confermato dal Tribunale del Riesame, resta dunque pienamente efficace.
Secondo la ricostruzione finora accertata, gli investigatori del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza avrebbero individuato diverse opere esposte in una mostra come riproduzioni non autentiche, per un controvalore stimato in circa un milione e mezzo di euro. Rosini è indagato per i reati previsti dagli articoli 518-quaterdecies e 518-sexiesdecies del codice penale, norme che reprimono la contraffazione nel mercato dell’arte.
La difesa dell’indagato aveva contestato la regolarità formale del provvedimento, sostenendo la mancanza di una motivazione puntuale sulla natura fraudolenta delle tele e denunciando la sproporzione della misura in rapporto al valore economico dei beni. In Cassazione i legali avevano inoltre richiamato l’assenza di un concreto rischio di alterazione delle opere e il decorso del tempo - oltre due mesi - dall’esecuzione del sequestro.
Gli ermellini hanno però ritenuto il ricorso privo di fondamento. Nelle motivazioni la Terza Sezione penale ha evidenziato come il Tribunale del Riesame abbia risposto in maniera completa alle doglianze della difesa, spiegando che il provvedimento di vincolo è strettamente collegato alle esigenze probatorie della Procura e trova riscontro nelle prime verifiche tecniche già eseguite dagli ausiliari della polizia giudiziaria, che avrebbero fatto emergere indizi di contraffazione. La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza secondo cui, nella fase di convalida, la descrizione sintetica dei fatti da parte del pubblico ministero è sufficiente a garantire la legittimità del sequestro, soprattutto quando il nesso tra la cosa sequestrata e il reato contestato risulta di immediata percezione.
I giudici hanno sottolineato anche la necessità di conservare le opere nello stato in cui si trovano, poiché gli accertamenti richiesti per verificare l’autenticità del materiale sono ancora in corso. Per queste ragioni il provvedimento è stato ritenuto pienamente proporzionato e tuttora giustificato.

