La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando le sentenze emesse precedentemente dalla Corte d’Appello di Catanzaro e dal gup di Castrovillari. La procura del Pollino contestava il reato di tentato omicidio aggravato
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Diventa definitiva la condanna di Francesco Abbruzzese alias “Cicciotto”, 28 anni, riconosciuto colpevole di tentato omicidio aggravato dall’odio razziale per l’aggressione a tre giovani di origine africana. La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, confermando così la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del novembre 2024 e quella del Gup di Castrovillari del marzo dello stesso anno.
L’aggressione e il riconoscimento
I fatti risalgono al 2023, quando un gruppo di giovani - secondo quanto accertato dai giudici - travolse con le auto e aggredì con mazze di ferro tre cittadini africani nel parcheggio di un’area frequentata da membri della comunità rom locale. Le vittime, difese dall’avvocato Antonio Vanadia, rimasero gravemente ferite. L’imputato, secondo la ricostruzione, era a bordo di una delle vetture e avrebbe partecipato attivamente all’assalto, brandendo una spranga e insultando le vittime con frasi di stampo razzista. Le stesse parole - “neri, figli di puttana, dovete andare via di qui” - sono state richiamate anche dalla Cassazione come prova del movente discriminatorio.
La linea difensiva
Nel ricorso, il difensore di Abbruzzese, aveva contestato la ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica del reato, chiedendo di derubricare il tentato omicidio in lesioni personali gravi. La difesa aveva inoltre sottolineato il riconoscimento tardivo dell’imputato da parte delle vittime - avvenuto tramite una foto del 2018, quando Abbruzzese aveva un aspetto fisico diverso a causa di un intervento bariatrico - e la presunta assenza di prove dirette sul suo ruolo durante l’aggressione. Secondo la difesa, l’accusa si sarebbe fondata su «elementi suggestivi e non univoci», come un orologio, un tatuaggio e la presenza di un’auto simile a quella vista nei pressi del luogo dei fatti.
Il giudizio della Cassazione
I giudici della Suprema Corte hanno però ritenuto il ricorso inammissibile perché ripetitivo dei motivi già respinti in appello. La sentenza sottolinea come la Corte d’appello di Catanzaro avesse «puntualmente motivato» in merito a tutti gli aspetti contestati, ribadendo che la perdita di peso dell’imputato non ne aveva alterato i lineamenti e che i riconoscimenti delle persone offese erano stati univoci e attendibili.
La Cassazione ha inoltre ritenuto infondata la tesi difensiva sulla diversa qualificazione giuridica rispetto ad altri imputati, evidenziando che «le differenze di trattamento derivano da procedimenti separati e da autonome valutazioni probatorie».
L’aggravante dell’odio razziale
Particolarmente rilevante il passaggio in cui la Corte conferma l’applicazione dell’aggravante dell’articolo 604-ter del codice penale, riconoscendo la matrice razzista dell’aggressione. Secondo i giudici, le frasi pronunciate da Abbruzzese e dai suoi complici sono «espressione di un chiaro sentimento di disprezzo razziale», a prescindere dalle ragioni contingenti della rissa. Richiamando precedenti decisioni, la Cassazione ribadisce che l’aggravante si applica anche quando il linguaggio o le modalità dell’azione «riflettano un pregiudizio manifesto di inferiorità razziale».
Con la decisione depositata, la Cassazione ha confermato la condanna definitiva a otto anni di carcere per Francesco Abbruzzese, condannandolo anche al pagamento delle spese processuali.