’Ndrangheta nel Vibonese

Il nuovo pentito Guastalegname riempie 60 pagine di verbale e apre nuove piste su omicidi e traffico d’armi

Dai progetti di morte ai timori dei clan. Dalle dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia emergono particolari inediti capaci di gettare luce su diversi fatti di sangue

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di Giuseppe Baglivo
30 aprile 2022
18:27

Sessanta pagine di verbali depositati, molte parti ancora coperte da segreto investigativo, diverse conferme e tanti particolari inediti. Finiscono per rafforzare l’impianto accusatorio del maxiprocesso Rinascita Scott, le dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia vibonese, Antonio Guastalegname, ma al contempo aprono diverse piste investigative ancora in parte da scrivere. Condannato in primo e secondo grado a 30 anni di reclusione – insieme al figlio Domenico ed a Giuseppe Piccolo di Nicotera – per l’omicidio del tabaccaio Manuel Bacco, freddato nel corso di una rapina nel suo negozio di Asti il 19 dicembre del 2014, il nuovo collaboratore di giustizia (sotto processo in Rinascita per narcotraffico) parla anche di diversi fatti di sangue.

«Mi riservo di fornire ulteriori particolari – ha dichiarato Guastalegname agli inquirenti – in ordine ad alcuni omicidi e nello specifico a delle notizie su fatti di sangue che ho ricevuto da Nazzareno Colace. Mi riferisco agli omicidi ai quali ho già fatto cenno nei precedenti verbali e sui quali posso riferire in maniera più approfondita». Il collaboratore di giustizia ha dunque fatto riferimento anche ad alcuni omicidi al momento non resi ostensibili dalla Dda di Catanzaro che sta indagando alla ricerca dei necessari riscontri. Dai verbali depositati si evince però che Guastalegname sul punto ha aggiunto: «Faccio presente che Nazzareno Colace insieme a Pantaleone Mancuso, Scarpuni, erano per così dire dietro le quinte rispetto alla faida fra i Piscopisani e quelli di Stefanaconi, innescata a seguito degli omicidi di Fiorillo e poi di Patania Fortunato, e da loro cavalcata per perseguire le loro finalità ed i loro interessi, ragion per cui Colace era a conoscenza di molti particolari relativi a quei fatti di sangue».


Ucciso nel marzo del 2012 Francesco Scrugli a Vibo Marina nel corso di un agguato preparato dai Patania di Stefanaconi con la regia di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni –  in cui rimasero feriti anche Rosario Battaglia e Raffaele Moscato del clan dei Piscopisani – secondo Antonio Guastalegname si temeva una violenta reazione da parte di Andrea Mantella appena uscito dal carcere. Scrugli era infatti il “braccio-destro” di Mantella, oltre che il cognato, che in quel periodo si era unito al clan dei Piscopisani. Il timore di una reazione da parte di Andrea Mantella, avrebbe portato Nazzareno Colace di Portosalvo – ritenuto fra i fedelissimi del boss Pantaleone Mancuso (Scarpuni) – a preoccuparsi dell’invio di armi dal Nord a Vibo Valentia.

«Nazzareno Colace mi rappresentò il fatto che avremmo dovuto prendere noi tutte le armi degli zingari di etnia Sinti a discapito di altri che rifornivano la zona delle Serre. Nazzareno Colace – ha dichiarato a verbale Guastalegname – aveva timore della scarcerazione di Andrea Mantella che sicuramente avrebbe vendicato la morte di Scrugli e, pertanto, era intenzionato a far arrivare a Vibo tutte le armi. Nazzareno Colace mi diede mandato di organizzare con i Sinti il traffico di armi e io parlai con la famiglia dei Sinti evidenziando che avevo bisogno di armi e le predette famiglie mi assicurarono che mi avrebbero rifornito».

Pistole e fucili vennero quindi spediti dal Piemonte sino a Vibo e poi a Portosalvo dopo che nel dicembre 2014 Nazzareno Colace si sarebbe personalmente recato ad Asti per visionare le armi e poi per incontrare in Lombardia Totò Prenesti di Nicotera, alias “Yo-Yò”, ritenuto uno dei killer più fidati del clan Mancuso. Le armi sarebbero state visionate anche da Ivan Colace, figlio di Nazzareno, e poi trasportate in auto nell’estate del 2015 da Antonio Guastalegname in un magazzino di Trainiti nella disponibilità di Nazzareno Colace.

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Giornalista
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