Operazione Eureka

Sequestrato in Portogallo l’impero della ristorazione di Domenico Giorgi: la scalata del Berlusconi calabrese da Roma a Lisbona

L'imprenditore imparentato con i Pelle Gambazza di San Luca è accusato di intestazione fittizia, reati tributari e autoriciclaggio. Un giro di denaro accumulato facendo sparire la quasi totalità dei contanti incassati. Intercettato, si lamentava dell’aumento dei pagamenti con Pos e dell’impossibilità di sottrarre al fisco quelle somme

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di Vincenzo Imperitura
4 maggio 2023
10:06

Lo chiamano “Berlusconi” per via dell’impero economico che è riuscito a mettere in piedi. Un impero che Domenico Giorgi, finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’indagine Eureka, era riuscito a costruirsi facendosi largo nella ristorazione, a Roma e in Germania prima, in Portogallo poi.

E proprio in Portogallo, l’operazione ha portato al sequestro di nove società commerciali, inclusi cinque ristoranti, e ancora diversi documenti, vetture e mezzo milione di euro in contanti.


Un impero che, ipotizzano i magistrati dell’antimafia dello Stretto, graviterebbe attorno ad una serie di società gestite da prestanome e utilizzate come cassa per reperire il denaro necessario ai prossimi investimenti.

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Intestazione fittizia, reati tributari e autoriciclaggio le ipotesi dell’accusa. Imparentato con i Pelle “Gambazza” per avere sposato la figlia di uno dei fratelli del vecchio capobastone, Giorgi avrebbe «reiterato le dinamiche criminali del cosiddetto “gruppo Erfurt”, costituito negli anni ’90, ad opera di un gruppo di soggetti calabresi, legati da vincoli di parentela alla famiglia Pelle, trasferitisi in Germania, i quali riescono in breve tempo ad acquistare svariate attività economiche e proprietà immobiliari, intestandole a fidati prestanome».

E se l’indagine della procura tedesca sul gruppo Erfurt era evaporata in una bolla di sapone, le dinamiche che avrebbero portato Giorgi a diventare un pezzo grosso della ristorazione in Italia e all’estero, si somigliano molto. Secondo gli investigatori italiani infatti l’indagato sarebbe «il dominus di un vero e proprio impero composto da una società italiana (la “Caffè In”) che controlla il ristorante “da Pallotta” di Roma, e da nove società portoghesi che gestiscono cinque ristoranti a Lisbona, Braga e Porto, i cui proventi confluiscono in una cassa comune e vengono suddivisi tra tutti i soci, formali e occulti, del gruppo».

Ed è proprio in Portogallo che il gruppo Erfurt che fa capo a Giorgi “Berlusconi” «che nel tempo si scinde in due diverse componenti» sposta i suoi interessi economici. Gli investigatori portoghesi hanno calcolato in 70, dal 1988, le società a cui il gruppo ha fatto ricorso: un vortice aziendale «in gran parte rappresentate da prestanome, facendo ricorso a società fiduciarie, mediante le quali i soci reali risultano di fatto schermati».

Dalle indagini della distrettuale dello Stretto viene fuori poi un giro di denaro contante che il gruppo di Giorgi avrebbe sistematicamente stornato dalle attività di ristorazione in previsione di affari futuri.

Un giro di denaro accumulato facendo sparire la quasi totalità dei contanti incassati nei ristoranti, tanto che, intercettato, lo stesso Giorgi si lamentava dell’aumento dei pagamenti con Pos e dell’impossibilità di sottrarre al fisco quelle somme.

Il denaro poi diviso tra i membri dell’associazione sarebbe servito per nuovi affari: un resort turistico e una griglieria da realizzare ad Ardore e per i quali Giorgi si era già messo in moto, acquistando una serie di abitazioni nel paesino della Locride che sono finite sotto sequestro assieme al resto dell’impero del “Berlusconi” di San Luca.

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