32 anni dopo

L’Unical non dimentica Giovanni Falcone, seminario sulla legalità con il capo del centro operativo Dia di Catanzaro

VIDEO | Beniamino Fazio ospite del laboratorio di pedagogia dell'antimafia, nel giorno in cui ricorre il 32esimo anniversario della strage di Capaci. L'iniziativa promossa dal docente Giancarlo Costabile 

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di Salvatore Bruno
23 maggio 2024
15:46

Nell'anniversario della strage di Capaci, l'Università della Calabria celebra la figura di Giovanni Falcone con un seminario promosso dal docente di storia della pedagogia Giancarlo Costabile, recentemente insignito a Vietri sul Mare del Premio Tajani per la legalità. L'evoluzione della 'ndrangheta dalle stragi del '92 ad oggi, il tema dell'incontro organizzato nell’ambito del ciclo di appuntamenti sostenuto dal Dipartimento di Culture, Educazione e Società dell’ateneo di Arcavacata.

L'intuizione di Falcone

Introdotto dai saluti di Ines Crispini, coordinatrice del corso di studio di Scienze dell’Educazione, e da una riflessione della neolaureata Valentina Serianni, l’iniziativa ha registrato la partecipazione, tra gli altri, di Beniamino Fazio, Capo centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro. Proprio la Dia, l’organismo interforze di coordinamento delle indagini relative alle consorterie criminali in tutta Italia, venne istituita grazie ad una intuizione di Giovanni Falcone. «Falcone non era un semplice magistrato – ha detto Beniamino Fazio – Abbiamo l’obbligo di ricordarlo insieme ai ragazzi della scorta. Crediamo sia necessario parlare con gli studenti, per far capire loro i contesti in cui le stragi sono maturate. A chi non ha vissuto quel periodo occorrono punti di riferimento concreti per comprendere la pericolosità delle mafie ed anche il ruolo della società civile e della partecipazione democratica nel contrasto alle mafie. Il problema non può essere delegato solo alle forze di polizia o alla magistratura, ma occorre un impegno corale. Questa iniziativa è utile per stimolare questo impegno. Soprattutto per tenere alta la guardia – ha ammonito Fazio - in una fase lontana dalla stragi, ma che registra una pervasività delle infiltrazioni criminali nel tessuto economico e sociale non sempre percepibile, e però, a maggior ragione, insidioso e non sempre riconoscibile».


L'importanza della storia

Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro i tre agenti uccisi dal tritolo piazzato dai corleonesi sotto l’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo, i cui nomi sono stati ricordati durante il seminario al quale sono inoltre intervenuti il docente di diritto pubblico Walter Nocito e l’avvocata ed attivista Luisa Giglio. Da remoto ha offerto il proprio contributo al dibattito il giornalista Antonio Anastasi. «I nostri giovani non sono educati a coltivare la memoria storica, all’esercizio della memoria storica come valore individuale e collettivo – ha affermato Ines Crispini – Coltivare la memoria storica, significa fornire le ragazze e i ragazzi di uno strumento critico per guardare il presente alla luce di quanto accaduto in passato». Sotto questo aspetto emergono le carenze degli studenti nella conoscenza della storia contemporanea, colpevolmente trascurata durante il ciclo di scuola secondaria superiore, nonostante sia inserita a pieno titolo nei programmi ministeriali: «Non viene proposta come disciplina formativa, con l’obiettivo quindi di elaborare la consapevolezza del presente, ma come esercizio mnemonico – osserva la docente universitaria – Poi c’è un problema di tempo, perché spesso si arriva ad approfondire la storia contemporanea soltanto alla fine dell’anno scolastico, quindi con il fiatone. E non sempre si riescono a trattare adeguatamente anche gli avvenimenti che hanno scandito gli anni novanta».

Ricordo non retorico

«La narrazione di memoria – ha sottolineato Giancarlo Costabile  nelle conclusioni – può farsi pedagogia del cambiamento e della prossimità quando la ricerca della verità è in grado di intrecciarsi con la costruzione della giustizia sociale. Abbiamo bisogno di ricordare i nostri caduti in modo non retorico – ha concluso – perché la loro lotta è stata generatrice di speranza e resistenza. Parole che noi vogliamo tenere il più possibile ancorate a una prassi pedagogica di emancipazione e riscatto per persone e territori».

Giornalista
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