Un esposto fa esplodere il caso della Flos Mundi, i cui membri sono sconosciuti anche agli iscritti, che sarebbe stata ospitata dal Goi. Con la sentenza d’appello sui clan di Sant’Eufemia riemerge il ruolo di Antonino Creazzo, condannato a 10 anni, per i “fratelli” reggini
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Se c’è un malumore che attraversa la massoneria italiana, nove volte su dieci i tormenti interessano anche la Calabria. Non fa eccezione l’ultimo caso transitato dai gruppi Telegram alla stampa nazionale. Al centro c’è una loggia particolare, con sede a Malta: si chiama Flos Mundi e, come per altre logge coperte basate nella piccola isola del Mediterraneo, avrebbe la facoltà di nascondere l’elenco dei propri membri. Potere delle leggi maltesi sulla privacy: il piedilista (cioè l’elenco degli affiliati) può essere celato agli stessi iscritti.
I guai, in questo caso, iniziano a Malta ma finiscono in Italia, soprattutto in Calabria e Sicilia. Nei giorni scorsi, un’inchiesta de L’Espresso ha svelato che la Flos Mundi, con tutto il suo carico di segretezza, avrebbe operato in Italiano con il placet del Grande Oriente d’Italia, che è la più importante istituzione massonica del Paese. Il problema? L’Italia ha norme che vietano l’esistenza di associazioni coperte e impongono trasparenza alle logge sui propri affiliati e i loro precedenti penali.
La storia della Flos Mundi inizia nel 2005 sotto la Gran Loggia sovrana di Malta. È il canale Telegram “Notizie massoniche italiane” a rivelare, nelle scorse settimane, che i membri della loggia maltese sarebbero circa 250-300, molti italiani. Tra i massoni le critiche sono feroci: per alcuni la facoltà di operare fuori da Malta concessa a una loggia che non rivela i nomi dei propri iscritti sarebbe addirittura un pericolo democratico. Quando una loggia opera al di fuori del proprio Paese, i suoi membri sono tenuti a mostrare una sorta di passaporto massonico che li identifichi. Secondo quanto racconta l’Espresso, la Flos Mundi aggirerebbe la pratica tramite la convocazione diretta della loggia nelle sedi del Goi. Un sistema che per un pezzo della massoneria italiana sarebbe «sbagliato e pericoloso».
Le riunione a Palmi e l’esposto di Leo Taroni
Oltre al metodo, ci sono anche altri aspetti emersi nei giorni scorsi. Il primo riguarda i cognomi di alcuni affiliati alla loggia maltese. Cognomi condivisi con un collaboratore di giustizia vicino a Cosa Nostra e con persone coinvolte in due inchieste della Dda di Reggio Calabria. I documenti consultati dal settimanale rivelerebbero che il 24 marzo 2024, almeno 16 membri italiani della Flos Mundi si sarebbero riuniti a Palmi, in provincia di Reggio Calabria. Secondo i verbali, quei 16 membri avrebbero iniziato alla Loggia altre 17 persone, ugualmente presenti.
Due condividerebbero nome e cognome rispettivamente con un assistente di polizia accusato di truffa aggravata e col fratello di un boss ’ndranghetista della provincia di Vibo Valentia. Sulla riunione a Palmi il candidato gran maestro del Goi Leo Taroni ha presentato un esposto contro ignoti per violazione della legge Anselmi e - secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore - la procura di Palmi avrebbe aperto un’indagine sulla faccenda. La massoneria di Malta, da parte sua, avrebbe controdenunciato, spiegando che il rispetto delle norme sarebbe totale: «Nessuna loggia segreta o sovversiva, trattiamo la privacy con la massima serietà».
La condanna di Antonino Creazzo in Eyphemos
Situazione ancora tutta da chiarire, sia sul piano giudiziario che su quello dei rapporti massonici. Si è concluso, invece, con una clamorosa condanna l’appello del processo Eyphemos: 10 anni per voto di scambio politico-mafioso all’ex consigliere regionale di Fratelli d’Italia Domenico Creazzo. Stessa pena comminata a suo fratello Antonino, arrestato come lui nel 2020 alla vigilia dell’insediamento a Palazzo Campanella. Già nella conferenza stampa che raccontò l’operazione, l’allora procuratore della Dda di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri parlò dell’iscrizione di Antonino Creazzo «a una loggia massonica regolare del Grande Oriente d’Italia» e dell’intervento dell’indagato per sbrogliare un episodio estorsivo ai danni di un “fratello”. Per gli inquirenti, il motivo dell’interessamento in quella vicenda sarebbe stato «la comune appartenenza alla massoneria». I presunti legami delle cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte con la massoneria deviata, in effetti, si ritrovano in una parte importante del lavoro investigativo della Dda di Reggio Calabria. Domenico Laurendi, considerato uno dei capi del clan, avrebbe tenuto - secondo l’accusa - «i rapporti con soggetti appartenenti alla massoneria (quella parte ovviamente legata alla ’ndrangheta) che riciclavano i proventi illeciti della cosca: Laurendi fungeva da collettore dei proventi illeciti dei vari affiliati e sodali, li consegnava ai "massoni" amici che poi li restituivano, di fatto prestandosi ad operazioni di riciclaggio». Massoni mai compiutamente identificati. Come altri due dei quali parlava proprio Laurendi per spiegare quali fossero i centri del vero potere, cioè «quali erano i veri ndranghetisti a cui bisognava ispirarsi facendo l'esempio di un massone iscritto all'Oriente d'Italia, e del padre di quest'ultimo, Maestro venerabile».
Il pentito Zappia: «Ero iscritto a una loggia di Reggio Calabria»
Sempre tra le pagine di Eyphemos compaiono le dichiarazioni di Diego Zappia, ’ndranghetista pentito che ha raccontato le proprie verità in processi come ’Ndrangheta stragista e Rinascita Scott. Oltre a raccontare i legami tra pezzi dei clan aspromontani e le logge coperte, Zappia ha raccontato in un interrogatorio di essere egli stesso un massone iscritto a una loggia di Reggio Calabria «da tre anni (il verbale è del 2019, ndr), ma dopo il primo anno, non ho più frequentato». Seguono i nomi degli esponenti più importanti di quel tempio massonico, uno dei quali sarebbe stato imparentato con gli Alvaro e parlava «spesso di ’ndrangheta». E poi, ancora racconta di «una loggia “deviata” a Locri a cui apparteneva un Papalia che si congratulò circa il fatto che fossimo diventati “fratelli”». Quattro incroci in una sola inchiesta e Antonino Creazzo, ritenuto un massone, condannato a 10 anni. Anche questa notizia corre veloce sui canali Telegram specializzati in questioni massoniche. Una spina dopo l’altra, con la Calabria sempre al centro.