Ecco cosa ha detto il conduttore di Report alla commissione parlamentare antimafia. Nell’audizione del giornalista le intimidazioni ricevute da un narcotrafficante legato ai clan calabresi e le parole ascoltate in carcere dal pentito Bonaventura
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Sigfrido Ranucci
«Abbiamo detto che avremmo parlato dell'eolico e dell'infiltrazione della 'ndrangheta». Oltre all’annuncio delle ultime inchieste della stagione di Report in corso, l’audizione di Sigfrido Ranucci davanti alla Commissione parlamentare antimafia – di cui nei giorni scorsi è stato pubblicato il resoconto integrale – ripercorre 15 anni di minacce culminati con l’esplosione dell’auto del giornalista, episodio che ha innalzato il livello di allarme intorno al conduttore della trasmissione.
Nell’audizione, Ranucci ha ricostruito una storia lunga oltre un decennio di intimidazioni subite per il lavoro svolto come giornalista per la Rai. «Sono stato sotto forma di tutela a partire dal 18 maggio del 2010 fino al maggio del 2011 e poi ancora dal 18 novembre del 2018 fino al febbraio del 2019. Finisco sotto tutela per una serie di inchieste che sono legate alla denuncia sulle attività della criminalità organizzata».
Ranucci racconta il primo episodio che lo ha portato sotto tutela: «La prima riguardava la fornitura di sabbia da parte di una cava che era legata alla famiglia Ercolano, famiglia legata a un boss condannato per le stragi, che lavorava con il silenzio-assenso della prefettura e forniva la sabbia al general contractor Pizzarotti all'epoca nella costruzione della Catania-Siracusa». La denuncia di Report porta all’intervento della magistratura: «Vengo a sapere di questa situazione, denunciamo questa cosa in una trasmissione di Report ed Ercolano viene ascoltato dai magistrati».
Minacce e intercettazioni
«Vincenzo Ercolano era sotto intercettazione in quel momento e parlava di questa mia visita presso la cava con un signore che gestiva una squadra di killer. Vengo avvisato direttamente dalla procura di Catania, motivo per cui finisco sotto tutela dinamica questa volta per diversi anni», racconta Ranucci.
Il giornalista ricorda anche l’allarme legato alla strage del Bataclan: «Il 5 gennaio del 2021 il collaboratore Francesco Pennino, che mi viene a relazionare in una vicenda che riguardava la strage in Francia del Bataclan, rivelandomi alcune cose, che io ho tenuto segrete per cinque anni, riguardavano il rifugio dove si nascondeva Salah, l'unico terrorista che all'epoca non si era fatto esplodere».
Pennino spiegò perché si era rivolto a lui: «Sostanzialmente si ricordava di me perché quando era in carcere a L'Aquila, nel carcere di massima sicurezza, nel reparto infermeria, aveva ascoltato l'ordine di uccidermi da parte dei Madonia e dei Santapaola».
Scorta e minacce dalla criminalità organizzata
«Nell'agosto del 2021, finisco sotto scorta, vengo avvisato dall'attuale Ministro dell'interno, dottor Piantedosi, all'epoca prefetto di Roma, che ebbe l'accortezza di avvisarmi che nel carcere di Padova un narcotrafficante legato ad ambienti dell'estrema destra e della 'ndrangheta aveva manifestato l'intenzione di rivolgersi a dei killer albanesi per uccidermi. Era stato oggetto di una nostra inchiesta», ricorda Ranucci.
Gli episodi non si fermano qui: «Ci sono una serie di episodi legati a pedinamenti nel momento in cui incontro delle fonti, documentati dalla mia scorta e segnalati alla Digos». Nel febbraio del 2022, emergono ulteriori minacce legate all’infiltrazione della ‘ndrangheta nell’amministrazione veronese: «Il collaboratore Bonaventura mi ha raccontato di minacce di morte di natura 'ndranghetista raccolte nelle carceri che lui aveva frequentato. La presenza della famiglia Giardino nell’amministrazione veronese, negata per anni, è stata confermata lo scorso anno dalla Corte di cassazione».
Minacce dirette nel 2024
Ranucci denuncia gli episodi più recenti: «Il 2 giugno del 2024, in seguito a una puntata su Moro e Piersanti Mattarella, ricevo una e-mail da un indirizzo Proton Mail: "Se dai altre informazioni sul caso Moro ti ammazziamo"».
A questa minaccia seguono azioni più concrete: «Pochi giorni dopo, cinque giorni dopo, troviamo dei proiettili della P38 davanti casa, dietro a un cespuglio. Su questi proiettili non sono state trovate impronte».
Ranucci ricostruisce anche minacce di natura internazionale: «Il 7 giugno del 2024, al termine di una puntata di Report sull'Albania, ricevo dei messaggi da un avvocato, Alexandro Tirelli, già legale del narcotrafficante Pablo Escobar. Questo avvocato mi gira messaggi con rappresentanti del cartello di Sinaloa messicano, che ipotizzavano azioni repressive se non si fosse avviata un’attività di diffamazione e dossieraggio nei miei confronti».
«Ci sono state altre vicende, giudicate sempre minacce normali che possono accadere a chi fa un lavoro come il nostro», spiega Ranucci, ma sottolinea come la sua esperienza rappresenti un quadro complesso di intimidazioni legate a mafia, terrorismo e narcotraffico internazionale.



