Uno dei legali del caso Garlasco riconvocato dalla pm Amerio dopo aver saltato l’invito di ottobre per motivi professionali. Nel 2009 avrebbe firmato assegni per coprire prestiti ricevuti da Gianluca Favara, condannato a 13 anni e 10 mesi
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Claudio Mangiarotti copyright MILANO- Delitto di Garlasco di Chiara Poggi , fuori dalla caserma dei carabinieri Andrea Sempio per le impronte digitali e il dna nella foto l'avocato Massimo Lovati Ph Claudio Mangiarotti
Appuntamento a Reggio Calabria, in tribunale, il 18 dicembre. E chissà se l’attenzione mediatica intorno a Massimo Lovati, ex legale di Andrea Sempio nel caso Garlasco, attirerà cronisti e telecamere. Di sicuro la sua testimonianza nel processo ’Ndrangheta Banking non passerà inosservata, ora che l’avvocato è finito al centro del circo mediatico per il suo ruolo e le sue dichiarazioni su una delle vicende di cronaca più controverse degli ultimi anni.
Nell’inchiesta ’Ndrangheta banking, la Dda di Reggio Calabria ha illuminato il quadro dei legami finanziariari tra alcuni imprenditori del Nord e soggetti vicini alle cosche calabresi. Pare persino strano che Lovati compaia in un contesto del genere: qualche giorno fa, intervistato nella trasmissione Far West ha spiegato di non avere neanche un conto corrente. Secondo la ricostruzione dei magistrati antimafia, invece, più di 15 anni fa l’avvocato avrebbe chiesto prestiti a soggetti legati alla ‘ndrangheta ai quali firmava assegni che poi sarebbero risultati scoperti.
Il contesto dell’inchiesta su Garlasco e l’ombra dei contanti
L’intervista di Lovati al programma di Rai Tre è avvenuta nel contesto di un’altra indagine, quella per corruzione in atti giudiziari che coinvolge l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, il pm del caso Garlasco. Secondo la Procura di Brescia, parte del denaro della famiglia Sempio – che nel 2017 ottenne l’archiviazione del figlio Andrea – potrebbe essere finito proprio a Venditti. Un’ipotesi respinta con forza dal magistrato, che ha ottenuto dal Tribunale del Riesame l’annullamento del sequestro e della perquisizione a suo carico.
L’origine del sospetto si trova in un appunto scritto dal padre di Sempio, in cui compare la dicitura “20/30 euro” accanto al nome di Venditti e alla sigla “gip archivia”.
Nel frattempo, lo stesso Lovati ha ammesso davanti al Consiglio di disciplina dell’Ordine degli avvocati di Pavia di aver ricevuto pagamenti in contanti dalla famiglia Sempio. L’Ordine ha trasmesso le dichiarazioni alla magistratura, mentre un’annotazione della Guardia di Finanza già segnalava che «dalla lettura delle intercettazioni ambientali emerge un chiaro riferimento ai presunti pagamenti della famiglia Sempio nei confronti dei legali di fiducia», tra cui proprio Lovati.
Da Pavia a Reggio Calabria: la pista del denaro dei clan
La vicenda del legale pavese non si ferma qui. Il 9 ottobre scorso, Lovati era atteso a Reggio Calabria per testimoniare nel processo ‘Ndrangheta Banking, nato da un’inchiesta che nel 2014 portò all’arresto di esponenti dei clan Pesce-Bellocco di Rosarno e Condello di Archi.
Secondo la Dda, i gruppi criminali avevano costruito un sistema di “penetrazione” nell’economia legale milanese, investendo capitali illeciti – provenienti da estorsioni, droga e appalti truccati – in attività immobiliari e di usura.
Perno del sistema era Gianluca Favara, imprenditore già condannato a 13 anni e 10 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, ritenuto una sorta di “banchiere” delle cosche. Tra coloro che avrebbero ricevuto prestiti da Favara figura anche l’avvocato Massimo Lovati, che però non si è presentato in aula, inviando una giustificazione per «impegni professionali» alla sostituta procuratrice Sara Amerio, titolare del fascicolo. L’udienza è stata rinviata al 18 dicembre, quando il legale dovrà comparire di persona.
Gli assegni scoperti e il prestito “garantito”
Secondo gli atti dell’inchiesta, nell’autunno del 2009 Favara avrebbe «prestato denaro a Massimo Lovati per un importo imprecisato con restituzione di euro 6.000». Il prestito sarebbe avvenuto grazie alla mediazione di terze persone che «garantivano per la restituzione del debito».
Dalle intercettazioni emerge che Lovati, a garanzia della somma ricevuta, aveva firmato assegni che sarebbero poi risultati scoperti. Scrivono gli inquirenti: «Dapprima il Lovati aveva rilasciato al Favara alcuni assegni a copertura e garanzia del prestito ricevuto; poi il Favara aveva dato incarico a una persona di sua fiducia di negoziare i titoli bancari». L’operazione non era andata a buon fine «per difetto di provvista».
In altre parole, gli assegni dell’avvocato erano senza copertura. Quando la notizia arrivò a Favara, questi reagì duramente, come si sente in una telefonata intercettata: «Senti Paolo, vedi che c’è l’amico tuo, l’avvocato… È due o tre volte che sta chiamando la persona che ha versato gli assegni, dicendogli che non può pagarli. Io non sono abituato a queste cose… L’avvocato non sa se sono i miei gli assegni o di un’altra persona. Il proprietario io sono dei soldi! … e con me deve parlare l’avvocato!… che vada a pagare gli assegni perché io non glieli ritiro!».
Il pagamento tardivo e la richiesta di un nuovo prestito
Dopo vari rinvii e discussioni, il 30 novembre 2009 Lovati riuscì a saldare il suo debito di 6.000 euro. Ma due settimane dopo, il 15 dicembre, telefonò di nuovo a Favara: «Sono l’avvocato Lovati… ascolti… io avrei bisogno un piccolo prestito… mi servirebbero subito».
Favara rispose con tono più prudente: «Avvocato non posso fare niente io. In questo momento non ho possibilità… Sono in Calabria… l’altra volta t’ho favorito, ora non riesco».
Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, «Lovati resta talmente soddisfatto del servizio conclusivo da richiedere al Favara un nuovo prestito anche in epoca successiva, ancorché costui glielo neghi, verosimilmente dubitando dell’affidabilità del chiedente».
Il ritorno in aula il 18 dicembre
Sedici anni dopo, quella vicenda torna a galla. Il 18 dicembre prossimo, Massimo Lovati dovrà comparire in aula a Reggio Calabria per ricostruire i fatti davanti al Tribunale e rispondere alle domande del sostituto procuratore Sara Amerio.



