Il Tribunale penale di Crotone ha assolto perchè il fatto non sussiste l'ex sindaco di Melissa, Raffaele Falbo, dall'accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità aggravata dalla volontà di agevolare una cosca mafiosa. Falbo era stato rinviato a giudizio nel settembre 2023 in seguito alla denuncia presentata da un imprenditore, titolare della società Gost di Assisi che all'epoca gestiva l'impianto di depurazione di Melissa.

Secondo l'accusa l'allora sindaco, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, avrebbe costretto il titolare dell'azienda ad assumere a tempo indeterminato il figlio di un esponente della cosca Farao-Marincola di Cirò. Per questo originariamente l'accusa ipotizzata dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Falbo era quella di concussione aggravata dalle modalità mafiose, poi derubricata nel corso del processo allorquando l'imprenditore, testimoniando in aula, negò di aver subito pressioni o minacce per assumere quel dipendente. Anzi, nel corso del dibattimento, si accertò che a caldeggiare l'assunzione erano stati gli stessi dipendenti della ditta.

La vicenda che ha coinvolto l'ex sindaco Falbo, esplosa a pochi mesi dalle elezioni comunali, aveva indotto la prefettura di Crotone ad inviare una commissione d'accesso antimafia. Nel timore di uno scioglimento del consiglio che sarebbe potuto arrivare subito dopo le consultazioni, tuttavia, nessuna forza politica aveva presentato liste.

La reazione di Falbo: «Fine di un incubo»

«Oggi, dopo anni di angoscia e di una battaglia combattuta nel silenzio e nel rispetto delle istituzioni, il Tribunale di Crotone ha messo la parola fine a un incubo. Con la sentenza di assoluzione con formula piena, perché il fatto non sussiste, la Giustizia ha riaffermato una verità che non ho mai smesso di custodire nel cuore, anche nei momenti più bui e difficili di questa dolorosa vicenda», così Falbo dopo l’assoluzione. «Sono stato accusato di reati infamanti, tra cui l’induzione indebita aggravata dal metodo mafioso, un’ombra che ha tentato di macchiare non solo la mia persona, ma l’integrità del mio ruolo di Sindaco e l’amore incondizionato per la mia comunità. Ho affrontato un processo lungo e complesso, sopportando il peso di un’accusa che ferisce un uomo nelle sue fondamenta più profonde, personali e politiche. Eppure, non ho mai perso la fiducia. Sin dal primo giorno, ho riposto la mia totale e incondizionata speranza nell’operato della Magistratura, convinto che la verità, alla fine, avrebbe trovato la sua strada attraverso l’attento esame dei fatti e delle prove».

E ancora: «Questa sentenza non è una vittoria personale, ma il trionfo della giustizia e della verità. Mi restituisce l’onore e la dignità che mi sono stati brutalmente sottratti, e conferma la trasparenza e la correttezza con cui ho sempre servito i miei cittadini, agendo unicamente per il bene comune e nel pieno rispetto della legalità. In questo momento di profonda commozione, il mio pensiero va alla mia famiglia, che ha sofferto con me e mi ha sostenuto con una forza incrollabile, e a tutti coloro che non hanno mai dubitato della mia innocenza. Un ringraziamento speciale, carico di stima e affetto, va ai miei avvocati, Giuseppe Peluso e Antonello Talerico. Non sono stati solo dei difensori straordinari per competenza, acume e professionalità, ma anche dei veri e propri sostegni umani, capaci di starmi accanto con sensibilità e coraggio in questa traversata nel deserto. Senza la loro guida e la loro instancabile dedizione, questo giorno non sarebbe stato possibile. Oggi si chiude il capitolo più doloroso della mia vita. Lo chiudo senza rancore, ma con la consapevolezza che la giustizia, seppur lenta, è un faro di civiltà a cui dobbiamo sempre guardare con fiducia. Ora è il momento di guardare avanti, di ricucire le ferite e di continuare a credere nei valori di onestà e servizio che hanno sempre guidato ogni mio passo».

Le parole dell’avvocato Talerico

Così l’avvocato Talerico dopo la pronuncia del Tribunale di Crotone: «L’assoluzione dell’ex sindaco Raffaele Falbo ricorda, con la forza dei fatti, che il rinvio a giudizio non dovrebbe mai essere un esercizio di leggerezza. Eppure, negli ultimi anni, pare diventato fin troppo semplice trasformare un sospetto in un procedimento, soprattutto quando si evocano – con una certa disinvoltura – scenari mafiosi anche dove la loro presenza è tutt’altro che dimostrata. Qui non siamo di fronte a un dubbio risolto in favore dell’imputato: siamo davanti a un impianto accusatorio che non ha retto nemmeno dopo essere stato rimaneggiato, segno che alle origini c’era più zelo che sostanza, più supposizione che prova. Al Tribunale di Crotone va riconosciuto un merito non comune: quello di aver mantenuto la necessaria freddezza. Ha osservato le carte, non il rumore di fondo. Ha fatto prevalere la logica, non le aspettative. Ha ricordato a tutti che la giustizia non è il luogo delle impressioni, ma delle evidenze. Un esercizio, questo, che oggi appare quasi controcorrente. Per un amministratore locale, essere trascinato in un processo per ombre mafiose significa subire una pena anticipata, che colpisce prima della sentenza: reputazione, funzione pubblica, vita privata. E non sempre l’assoluzione basta a restituire ciò che si è perso. Il punto non è frenare l’azione penale, ma ricondurla entro il perimetro della ragionevolezza: il sospetto non è prova, e la cautela non è debolezza. Anche perché i processi costruiti sulle suggestioni finiscono quasi sempre per svelare la propria inconsistenza, lasciando dietro di sé solo macerie umane e istituzionali. Questa decisione, in fondo, ricorda una verità semplice: la giustizia, quando è equilibrata, non fa rumore; ma quando manca l’equilibrio, è il Paese a pagare il prezzo. A Crotone, per fortuna, è prevalsa la giustizia. E non è poco».