Una struttura criminale ramificata e ben organizzata, capace di gestire l’intero ciclo del narcotraffico: dal Sudamerica alle piazze di spaccio italiane. È quanto emerge dal procedimento della Dda di Reggio Calabria che vede coinvolti 29 soggetti ritenuti appartenenti alla cosca Barbaro di Platì. Gli indagati avrebbero avuto ruoli diversi e specifici come importare, distribuire e vendere cocaina, marijuana e hashish. Un traffico di sostanze stupefacenti che partiva dal Reggino fino ad arrivare a Milano.

Narcotraffico reggino, la struttura della presunta associazione

Secondo la Dda di Reggio Calabria, il gruppo Barbaro avrebbe costituito un’associazione strutturata, duratura, dotata di mezzi, contatti internazionali e capacità logistica. La rete sarebbe stata articolata in sotto-cellule operative territoriali, attive non solo in Calabria ma anche in Lombardia, Lazio, Piemonte, Puglia e persino all’estero (Spagna, Sudamerica). Ogni cellula era connessa al vertice organizzativo.

I ruoli apicali: i vertici del gruppo Barbaro

Ai vertici della presunta associazione dedita al narcotraffico ci sarebbe Giuseppe Barbaro (classe 1956), considerato il principale dirigente e organizzatore, insieme a un soggetto poi deceduto. I due, a dire della Dda di Reggio Calabria, avrebbero dettato le linee strategiche del sodalizio: finanziamenti, importazioni, prezzi, relazioni coi fornitori esteri e ripartizione dei profitti.

Al loro fianco, secondo quanto riportato nel capo d’imputazione, ci sarebbero stati Francesco Perre detto “u Percia”, Francesco Barbaro, alias “Sarsizzu” e Antonio Barbaro. I tre, nel capo d’accusa, vengono indicati come promotori e finanziatori dell’associazione, in grado di gestire operazioni transnazionali per l’acquisto di droga dal Sudamerica. Al vertice della “filiale” milanese vi sarebbero invece Pasquale Zappia, presunta figura centrale per i traffici con l’estero, il quale sarebbe stato supportato da “uomini fidati” quali Natale Pangallo, Luca Spagnolo, Geremia “Jerry”, Zandonella, Iginio “Gino” Panaha, e Marco Coffa.

Il percorso della droga

La cocaina, secondo quanto ricostruito dalla Dda di Reggio Calabria, proveniva in larga parte dalla Colombia e dal Sudamerica. Lo stupefacente veniva fatto entrare in Europa attraverso il Portogallo e la Spagna e successivamente trasportato via terra in Italia. La logistica sarebbe stata gestita da figure chiave come Michele Moio, Giuseppe D’Agostino e Matteo Costanza, quest’ultimo ritenuto broker del narcotraffico e referente in Spagna. I finanziamenti necessari per acquistare i carichi sarebbero partiti dalla Calabria e coinvolgevano soggetti come Santo Modaffari, Giuseppe Vottari e altri soggetti allo stato rimasti ignoti.

Approvvigionamento e spaccio

Oltre ai fornitori esteri, l’organizzazione si sarebbe affidata a Rocco Cutrì e Bruno Delfino per l’approvvigionamento italiano. La droga inoltre sarebbe stata smistata attraverso una rete di presunti intermediari, come nel caso di Matteo Borrelli per la Campania, Vincenzo Oscurato per la provincia di Cosenza, Domenico e Saverio Perre per la provincia di Reggio Calabria, Vincenzo Demasi e Antonio Jerinò per Roma e Palermo, Geremia Orlando Barbuto per Roma e Messina.

Le figure secondarie

Il presunto sistema dedito al narcotraffico si sarebbe retto anche grazie al contributo di soggetti incaricati di facilitare i contatti e i trasporti. La Dda di Reggio Calabria fa riferimento ad Antonio Agresta, Domenico Zucco, rispettivamente titolari di un bar e di un negozio di ortofrutta. I due, secondo gli investigatori, fungerebbero da intermediari logistici, garantendo la comunicazione tra i vertici della cosca e gli altri affiliati. Non manca infine chi curava la vendita al dettaglio nei contesti urbani. In questo caso le indagini si sono concentrate su Marco Coffa, “Jerry” Zandonella, “impegnati nella piazza di Milano”, o Luca Spagnolo, secondo la Dda attivo in Puglia.