Il procuratore parla della zona grigia e degli intrecci pericolosi con i clan del Reggino: «Soggetti di altissimo livello. Alcune intercettazioni inquietano, sostanzialmente dicevano: il patto col diavolo lo facciamo noi»
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«Soggetti di altissimo livello. Ci sono passaggi delle intercettazioni che inquietano, in cui sostanzialmente si diceva: “il patto col diavolo lo facciamo noi”. E quindi di fatto lasciano apparentemente indenne il politico, che non deve sporcarsi le mani, non ha la necessità di rivolgersi alla criminalità organizzata in via diretta, e fanno questa attività di intermediazione». Il procuratore Walter Ignazitto ha analizzato dettagli allarmanti emersi dall’operazione “Millennium” che non celano intrecci pericolosi e zone grigie tra ‘ndrine e politica.
«Peculiare che questi accordi siano stati stipulati con gruppi che appartengono a mandamenti, e quindi non soltanto del centro ma anche della tirrenica e della ionica. A volte, bisogna anche dirlo, non sono andati a buon fine, nel senso che poi ci sono dei passaggi in cui i soggetti che aspiravano a un certo pacchetto di voti non sono riusciti a ottenere quelli che avevano previsto. Questo da un certo punto di vista è una cosa che consola, perché evidentemente non c'è la capacità piena. E probabilmente il lavoro fatto anche negli anni, da questo punto di vista, ha aiutato».
Soprattutto alle nostre latitudini, il voto di scambio e la corruzione tra mafia e politica rappresentano una delle minacce più gravi alla democrazia. Quando il consenso elettorale viene barattato con favori, denaro o promesse, si spezza il patto tra cittadini e istituzioni. La ‘ndrangheta da sempre sfrutta queste dinamiche per infiltrarsi nel potere decisionale, condizionare appalti, orientare scelte e garantirsi impunità. Solo spezzando il legame perverso tra criminalità organizzata e politica si può garantire legalità, trasparenza e futuro e questo lo ha lasciato trasparire chiaramente il procuratore Ignazitto che, pur confermando i passi avanti fatti in tal senso non ha negato che ad emergere in quest’operazione «c’è l’ostentare la consapevolezza e la ostentata manifestazione delle possibilità di ottenere pacchetti di voti anche importanti che poi, ovviamente, ma questo gli indagati lo dicono espressamente, dovranno essere restituiti in termini di compenso, verso tutta una serie di incarichi e di favori che già in fase di baratto politico-mafioso vengono espressamente indicati».
E della pericolosità della ‘ndrangheta, capace di infiltrarsi e corrompere a vari livelli, si è occupato anche il procuratore Stefano Musolino che ha analizzato un aspetto da non sottovalutare. «La repressione è uno degli strumenti attraverso i quali si opera, ma se non c’è investimento economico, investimento culturale, se non ci sono altri attori istituzionali che intervengono in quei tessuti sociali, le cose difficilmente cambieranno». Il procuratore Musolino ha aperto uno spaccato di riflessione che va ben oltre l’operazione Millennium che vede oggi indagate 200 persone nella provincia reggina. Per il procuratore, la cosca Alvaro ha mostrato la «straordinaria capacità non soltanto di intervenire con azioni di controllo dei sistemi economici che gravitano attorno al loro territorio, ma anche di detenere in modo significativo armi, e quindi di rappresentare un pericolo concreto per la vita e l’incolumità delle persone che vivono in quei territori, in particolare degli imprenditori».
Il narcotraffico al centro degli interessi della ‘ndrina che è diventato il cuore pulsante della ’ndrangheta: «La capacità autentica della ’ndrangheta di restare riconosciuta a livello internazionale e nazionale come player decisivo nei contesti criminali in cui opera. Su questo stiamo cercando di fare ricostruzioni giuridiche complesse, perché la ricostruzione giuridica di questi fatti presenta una sua complessità che stiamo cercando di fronteggiare. Ma credo che ci voglia, prima di tutto, una consapevolezza sociale della capacità della ’ndrangheta di organizzarsi in questo senso, e quindi di tornare a considerarla come soggetto dominante di alcune dinamiche. A me pare che, da questo punto di vista, vi sia stato un calo di attenzione significativo. Se perdiamo questa consapevolezza, ci troveremo ad affrontare come se fosse uno spot improvviso, nell’ambito di un’apparente pace e tranquillità, l’accertamento di dinamiche così pericolose e così inquinanti per i sistemi sociali ed economici dei nostri territori, senza però riuscire a ritrovare soluzioni e modelli alternativi, che non possono che passare attraverso una consapevolezza della gravità dei fenomeni».