'Ndrangheta Reggio Calabria, beni per 50 milioni di euro sequestrati a tre imprenditori

VIDEO | Operazione Energie pulite nel corso della quale Guardia di Finanza e Dia hanno messo i sigilli a beni per milioni di euro. Ecco imprenditori e società coinvolte

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di Redazione
29 ottobre 2020
08:49

Ammonta a 50 milioni di euro il valore complessivo dei beni sequestrati stamane dal centro operativo della Dia di Reggio Calabria, da militari dello Scico di Roma e del comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, supportati dalle articolazioni locali delle forze dell'ordine nelle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari, con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e della Procura antimafia reggina. I provvedimenti sono stati emessi dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta congiunta del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e del procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.

La procedura seguita è stata applicata nel distretto reggino per la prima volta dopo la riforma del 2015 del codice antimafia, che ha attribuito anche al procuratore nazionale antimafia la titolarità della proposta di misure di prevenzione di natura patrimoniale.

Il sequestro riguarda società, beni mobili e immobili, nonché rapporti finanziari riconducibili agli imprenditori Antonino Scimone, 45 anni, Antonino Mordà di 51 e Pietro Canale, di 41 indiziati di contiguità a note cosche reggine.

L'operazione Martingala

La figura criminale degli imprenditori era emersa nel corso dell’operazione Martingala, condotta da personale della Dia e della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, coordinati dal procuratore aggiunto Paci e dal dottor Musolino  dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e conclusa nel mese di febbraio 2018 con l’esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso nei confronti di 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, di beni, di utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale nonché associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari nonché con il sequestro di 51 società, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa  100 milioni di euro.


Le indagini

Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero, i cui elementi di vertice erano stati identificati in membri delle famiglie Barbaro I Nigri di Platì, Nirta Scalzone di San Luca Antonio Scimone – principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali - rinviato a giudizio per svariate ipotesi di reato, tra cui concorso esterno in associazione mafiosa, dirigenza di un’associazione finalizzata al riciclaggio ed al reimpiego, nonché all’intestazione fittizia di beni, all’emissione ed utilizzo di fatture false, funzionali ad agevolare l’attività di infiltrazione occulta negli appalti pubblici della ‘ndrangheta, verso la quale era drenate imponenti risorse.  

 

L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie e che hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi.

 

Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale.


L’attività investigativa ha interessato, tra l’altro, dinamiche criminali estrinsecatesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione promossa e capeggiata dallo Scimone e, tra questi, era emersa la posizione di Pietro Canale – indagato per le ipotesi di reato di intestazione fittizia di beni, per emissione ed utilizzo di fatture false e per reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie - nonché quella dell’imprenditore Antonino Mordà- rinviato a giudizio per le ipotesi di reato di associazione di stampo mafioso (per cui è ancora oggi cautelato), trasferimento fraudolento di valori, estorsione, bancarotta, usura e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie, fattispecie in diversi casi aggravate dall’aver agevolato gli interessi della ‘ndrangheta.

 

 

In relazione alle risultanze dell’attività di cui sopra, la Direzione Nazionale Antimafia e locale Direzione Distrettuale Antimafia - sempre più interessate agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata - valorizzando anche le funzioni proprie della Guardia di Finanza nella prevenzione e contrasto ad ogni forma di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico del Paese e di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati - delegavano al Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (Gico) della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, allo Scico ed al locale Centro Operativo Dia, apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti dei citati imprenditori, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

Il sequestro

Con gli odierni provvedimenti è stata disposta l’applicazione della misura di prevenzione sia personale sia quella patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio riconducibile a Scimone Antonino cl. ‘75, Mordà Antonino cl. ’69 e Canale Pietro cl. ‘79 nonché ai rispettivi nuclei familiari, costituito dall’intero compendio aziendale di 18 imprese/società commerciali sedenti sia in Italia sia all’estero, nonché 18 immobili, 7 automezzi, 1 imbarcazione da diporto, 10 orologi di pregio (Rolex, Paul Picot, Baume & Mercier), disponibilità finanziarie e rapporti bancari/assicurativi, per un valore complessivo stimato in circa 50 milioni di euro.

Tra le numerose società, è stata sottoposta a vincolo la Canale Srl, comprensiva di 15 unità locali presenti oltre che nella provincia reggina, nelle provincie di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza e Lecce, operante nel settore della metanizzazione e la Pivem srl, operante nel comparto della grande distribuzione (mediante la gestione di un supermercato nel rione Pellaro di Reggio Calabria).

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