’Ndrangheta

Il figlio del boss disse al pm Di Palma: «Ti faccio vedere io chi sono i Molè». Il magistrato: «Le minacce fanno parte del nostro lavoro»

Dopo alcuni anni viene rivelato uno scontro verbale avvenuto in aula tra l’allora sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria e il mammasantissima di Gioia Tauro, Mommo Molè. Il commento del giudice: «Non ci si fa mai l'abitudine ma andiamo avanti»

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di Vincenzo Imperitura
4 aprile 2024
19:04
Il procuratore Roberto Di Palma
Il procuratore Roberto Di Palma

«Non è la prima volta che succede, questa è solo l’ultima minaccia in ordine di tempo di quelle di cui sono a conoscenza. Certo non ci si fa mai l’abitudine, mica parliamo della pioggia che cade, ma fa parte del nostro lavoro, non mi sento particolarmente scosso». Tira avanti per la sua strada Roberto Di Palma, attualmente alla guida della procura minorile di Reggio Calabria e per anni in prima linea nella lotta alla ndrangheta come sostituto procuratore della distrettuale antimafia dello Stretto.

Il suo territorio di competenza, da Pm antimafia, era il mandamento tirrenico, e proprio da Gioia Tauro, centro nevralgico, suo malgrado, del mandamento tirrenico sono arrivate queste nuove minacce. A parlarne in aula a Palmi, durante un’udienza del processo “Nuova narcos europea” il collaboratore di giustizia Domenico “Corona” Ficarra che ha ricordato un battibecco in aula avvenuto nel 2018 tra il magistrato e il mammasantissima dei Molè, Mommo che si era lamentato in udienza, attaccando Di Palma.


«Vi piace vincere facile - aveva affermato il boss in aula durante l'udienza del suo processo - Sempre con noi ce l'avete, vi volete fare pubblicità sulle nostre spalle». Dichiarazioni cariche di veleno a cui lo stesso Di Palma aveva reagito con forza: «Noi - aveva risposto il magistrato - la trattiamo per quello che è, signor Molè. Un mafioso. E trattiamo i suoi figli per quello che sono, mafiosi. Noi facciamo indagini e il nostro scopo non è certo farci pubblicità o acquisire notorietà. Se fosse vero, considerato che l'arresto ogni due mesi, dovrei essere procuratore nazionale e invece sono un semplice pubblico ministero. Lei, invece, signor Molè, non è nessuno. Come vede, qui non ci sono giornalisti, non ci sono telecamere perché lei, signor Molè, non conta più niente». A queste dichiarazioni sarebbero seguite le minacce esplicite di “Roccuccio” Molè, rampollo del clan con alle spalle una condanna, non definitiva, a 20 anni di reclusione che, in una “riunione” aveva minacciato, riferendosi al pm: «Adesso ti faccio vedere io chi sono i Molè».

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