Il caso

La cava dei Mancuso a Limbadi tra le proprietà da espropriare per costruire il Ponte: soldi dello Stato per stoccare i detriti

Nell’area del Vibonese arriveranno indennizzi per i terreni della figlia e di alcune nipoti dello storico boss “don Ciccio”. E anche di un imprenditore condannato a 18 anni per mafia nel processo Rinascita Scott. L’area era già stata utilizzata all’epoca della realizzazione del porto di Gioia Tauro

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di Vincenzo Imperitura e Pablo Petrasso
6 aprile 2024
07:00
In alto, la posizione della cava di Limbadi e, a destra, un’immagine dell’area
In alto, la posizione della cava di Limbadi e, a destra, un’immagine dell’area

Per costruire il Ponte sullo Stretto lo Stato porterà via due terreni a Carmina Antonia Mancuso, figlia dello storico boss Ciccio. Uno a Nicotera, l’altro a Limbadi, dove suo padre, tra i capostipiti del clan che “governa” da decenni su quel territorio, fu il primo degli eletti alle Comunali del 1983. Da latitante. Si tratta di un pezzo della cava di famiglia utilizzata già ai tempi della realizzazione del porto di Gioia Tauro. Un cerchio che si chiude, da una grande opera all'altra. 

Francesco Naso, invece, ha incassato una condanna a 18 anni per associazione mafiosa nel primo grado del maxi processo Rinascita Scott. Per la Dda di Catanzaro avrebbe mantenuto «una posizione dominante» sul mercato del cemento e dei materiali edili grazie alle forniture gratuite garantite al clan. A Naso saranno espropriati poco più di 2.700 metri quadri di terreni: pascoli o uliveti per i quali la società Stretto di Messina pagherà un indennizzo all’imprenditore che i giudici considerano un membro della cosca di Limbadi.


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Le storie di alcuni espropriati del Vibonese sono diverse da quelle di chi rischia di perdere la propria casa davanti allo Stretto di Messina. Qui non si parla di pezzi di cuore e di storia cancellati dal registro del mondo per realizzare l’opera-bandiera del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. E neppure di Rsa, come quella che sarà espropriata a Messina, o di bed&breakfast che chiuderanno i battenti per lasciare il posto a piloni e opere accessorie.

Le aree destinate a diventare discariche monstre di materiale di risulta non hanno un particolare pregio: sono in buona parte cumuli di erbacce. Un dato che emerge dal progetto del Ponte sullo Stretto: “Petto di Braghò”, la zona rurale tra i comuni di Limbadi e Nicotera, era «un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione del calcestruzzo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzione del porto di Gioia Tauro». Ora «giace in stato di degrado e abbandono» perché l’attività estrattiva «nel corso degli anni ne ha modificato l’assetto originario e oggi appare profondamente deturpata, con spaccature e fratture ben visibili, anche a molti chilometri di distanza».

Il pentito Bartolomeo Arena ha affrontato la questione del legame di quella cava con la famiglia Mancuso (e al ruolo di quei terreni nella realizzazione del porto di Gioia Tauro) in un interrogatorio del processo Petrolmafie: «I Mancuso sfruttavano gli inerti della cava di Limbadi e lui era inserito in questo contesto all’epoca. Francesco Mancuso era il più famoso dei Mancuso all’epoca ed era pure un soggetto stimato in ogni posto, perché era un tipo molto diplomatico e diversissimo dai nipoti che invece all’epoca erano già soggetti molto pericolosi e uccidevano persone anche per motivi banali, sempre in contesti ‘ndranghetisti ma anche per motivi banali». Storie antiche di una mafia che si faceva imprenditrice. 

Questi legami familiari riaffiorano dalla lettura delle particelle espropriate: proprietari imparentati con la cosca di Limbadi incasseranno denaro pubblico per cedere i propri terreni. Tutto legale, legittimo e certificato nei documenti pubblici vidimati dal ministero delle Infrastrutture. Gli espropri riguardano più di 70mila quadrati di territorio messi male: chi li ha utilizzati non ha badato molto alla loro cura e non ha effettuato, nel corso degli anni, alcun tipo di ripristino ambientale. Dopo la costruzione del Ponte sistemerà tutto lo Stato (nella foto sopra: in alto le condizioni della cava e in basso come sarà alla fine dei lavori per la realizzazione della grande opera).

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Le cifre degli indennizzi non sono ancora note ma di certo i proprietari dei terreni saranno risarciti. Pietro Ciucci che, da amministratore delegato della società Stretto di Messina, gestisce la delicata fase degli espropri, ha rassicurato che i fondi saranno adeguati. Alcuni perderanno per sempre i loro beni immobili, altri saranno pagati per l’occupazione temporanea delle aree. Tra i risarciti, oltre alla figlia di “don Ciccio”, ci saranno anche due sue nipoti.

La fetta più grossa di terreni spetta comunque alla figlia dello storico boss Carmina Antonia: 2.200 metri quadri circa nel comune di Limbadi, 21mila in quello di Nicotera per i quali verrà garantita l’indennità di occupazione temporanea. Per il Ponte quel “temporanea” significa almeno fino al 2032. Ma per un’opera complessa come l’attraversamento dello Stretto non si può essere certi che il temporaneo, secondo un costume molto italiano, non diventi permanente.

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