Quinta bolgia: «Pietro Putrino il “cassiere” della cosca Iannazzo»

Il mantenimento di detenuti e latitanti e il ruolo svolto dall’imprenditore considerato la “banca” al quale gli esponenti di spicco del clan affidavano i proventi di natura illecita

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di Manuela Serra
13 novembre 2018
11:12
In foto Pietro Putrino
In foto Pietro Putrino

«…alla Legge non scappa niente… io non faccio telefonate. Quando un’imbasciata: prima al Moretto lo facevo uscire al magazzino da dietro… oppure alla Cutura (località di Lamezia Terme, ndr), sempre fuori zona, così nessuno ci poteva rompere… la Legge oggi è maligna… sai come fa la Legge: dammi tempo che ti cupo…». Parlava così nella sua auto Pietro Putrino, patron dell’omonima ditta funebre di Lamezia Terme, travolto dall’inchiesta giudiziaria “Quinta bolgia”, condotta dalla Guardia di finanza e coordinata dalla Procura di Catanzaro, che ha portato all’arresto di 24 persone, tra cui l’ex deputato lametino Pino Galati. Ha paura di essere intercettato, teme la Legge ed è per questo che alle telefonate Pietro Putrino preferisce incontri “riservati”.


A confermare questa circostanza è l’ex collaboratore di giustizia Giovanni Governa, considerato per anni la “mente economica” della cosca capeggiata dallo storico boss Francesco Giampà detto “u Prufessura” per conto del quale faceva l’autista. Governa parla di come Pietro Putrino mettesse a disposizione i locali sede della sua attività commerciale, per favorire gli incontri tra membri della famiglia Iannazzo e imprenditori che si rivolgevano a lui anche per ottenere il loro intervento finalizzato alla risoluzione di alcune controversie. In un interrogatorio Governa – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare - fornisce poi dettagli in merito al ruolo svolto dal Putrino quale "cassiere" ovvero la "banca" al quale gli esponenti di spicco della cosca Iannazzo affidavano i proventi di natura illecita rivolgendosi, a lui, quando necessitavano di denaro contante per impiegarlo in attività delittuose: «Una volta gli hanno trovato un miliardo (di lire, ndr) sotto una catasta di legna da ardere vicino casa […]».



Anche il pentito Gennaro Pulice parla di Putrino come "banca degli lannazzo" affermando, analogamente a quanto dichiarato da Governa, che l'imprenditore destinava parte dei proventi delle imprese al mantenimento in carcere dei detenuti («Io non so se pagava un mensile, so che magari a Pasqua, a Natale faceva il regalo, pensava ai carcerati») e di come si occupò di mantenere Vincenzino lannazzo, il "Moretto", all'epoca della sua latitanza: «Se Vincenzo Iannazzo… quando ha avuto problemi che un periodo è stato latitante, comunque li aveva aiutati, era una persona comunque sempre disponibile…».

 

Lo stesso Pulice ha poi affermato come Putrino fosse a disposizione della cosca per incombenze finanziarie o per ripulire i proventi dell’usura: «Se c’erano da cambiare assegni andavano da Pietro Putrino, se servivano soldi contanti andavano da Putrino. La cosa che mi ricordo di Putrino è che aveva molta disponibilità liquida…».

 

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