La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Antonio Urso, assistente capo della polizia penitenziaria in servizio alla casa di reclusione di Corigliano Rossano, sottoposto agli arresti domiciliari per il reato di procurata detenzione di telefoni cellulari a detenuti. Il provvedimento conferma l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Catanzaro il 22 maggio 2025, che aveva ribadito la misura già applicata dal GIP di Castrovillari il 15 gennaio 2025, dopo un primo annullamento e rinvio deciso dalla stessa Cassazione ad aprile.

Il caso: tre telefoni nascosti nei calzini

Secondo le indagini, Urso avrebbe procurato a un detenuto tre telefoni cellulari privi di SIM, nascosti all’interno di due calzini sigillati con nastro adesivo, trovati nel borsello dell’agente durante un controllo stradale mentre si recava in servizio. Gli investigatori hanno riferito che l’uomo mostrò un marcato nervosismo durante la perquisizione, circostanza che portò ad estendere i controlli anche alla sua abitazione, dove vennero rinvenuti sei grammi di cocaina.

Nel corso dell’interrogatorio, Urso avrebbe ammesso spontaneamente di possedere la droga e di aver accettato di consegnare i telefoni a un detenuto in cambio della sostanza stupefacente.

La difesa e il ricorso

La difesa dell’agente penitenziario aveva contestato la decisione del Tribunale del Riesame, sostenendo la mancanza di gravi indizi di colpevolezza e chiedendo la revoca dei domiciliari. In particolare, la difesa aveva denunciato l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee, rese a diverse ore dal controllo di polizia e quindi - a loro dire - prive di genuinità e non verbalizzate integralmente. I legali avevano inoltre evidenziato la sospensione dal servizio dell’indagato, considerandola elemento sufficiente per escludere il rischio di reiterazione del reato e sostenendo l’adozione di misure meno afflittive.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso generico e manifestamente infondato. Sul piano probatorio, i giudici hanno osservato che il Tribunale aveva valutato e confutato la versione difensiva - secondo cui i telefoni sarebbero serviti per contatti privati con donne conosciute - giudicandola «inverosimile e non compatibile con le circostanze di fatto accertate».

Quanto alle dichiarazioni spontanee, la Cassazione ha ricordato che la difesa non ha indicato quali atti sarebbero inutilizzabili né come la loro esclusione avrebbe inciso sul quadro indiziario, mancando così la cosiddetta prova di resistenza. Anche senza considerare quelle dichiarazioni, ha rilevato la Corte, le emergenze oggettive - i cellulari, la droga e il contatto con soggetti esterni collegati ad ambienti criminali - risultano sufficienti a fondare la gravità indiziaria.

Le esigenze cautelari

Respinta anche la contestazione sul pericolo di recidiva: secondo i giudici, la misura dei domiciliari è «proporzionata e necessaria» poiché la condotta di Urso, avvenuta sfruttando il proprio ruolo istituzionale e in connessione con ambienti criminali, denota «una pervicacia non occasionale». La sospensione disciplinare dal servizio, ha precisato la Cassazione, non elimina il rischio di reiterazione, trattandosi di provvedimento temporaneo e amministrativo.