Rinascita-Scott, le vendette di Pulice e il timore di essere ucciso da Mantella

Collaboratore dal 2015, è stato ascoltato nel corso del processo. Nel suo intervento la nascita della Nuova Camorra Organizzata “benedetta” dal lametino Egidio Muraca, la spartizione dei lavori in autostrada, i progetti di indipendenza mafiosa ed il controllo del carcere di Catanzaro

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di Giuseppe Baglivo
2 febbraio 2021
19:58
L’aula bunker dove si tiene il processo
L’aula bunker dove si tiene il processo

Omicidi, vendette e affari da Lamezia al Vibonese passando per Rosarno e Cutro. Collaboratore dal 2015, Gennaro Pulice, 43 anni, di Lamezia Terme, in perfetto italiano ha svelato le sue verità sulle dinamiche della ‘ndrangheta, delineando il salto di qualità perseguito dall’organizzazione criminale calabrese e gli accordi fra i vari clan. Ascoltato in videoconferenza nel corso del processo Rinascita- Scott, Gennaro Pulice ha spiegato di essere nato e cresciuto in una famiglia di ‘ndrangheta appartenente al “cartello” dei Cannizzaro- Da Ponte-Iannazzo di Lamezia. «Nel 1982 uccidono mio padre Antonio Pulice – ha raccontato il collaboratore – con i mandanti che sono stati i Bellocco di Rosarno in quanto in precedenza mio padre aveva ucciso un loro uomo per contrasti attorno ai sequestri di persona in Lombardia».

L’omonimo nonno, Gennaro Pulice, ritenendo Salvatore Belfiore complice dell’omicidio di suo figlio Antonio, padre dell’odierno collaboratore,  avrebbe quindi istigato il nipote a vendicare l’assassinio del padre quando era ancora minorenne. Ecco così che il 24 maggio 1995 – data dell’anniversario dell’uccisione del padre – Gennaro Pulice sparò in pieno volto a Salvatore Belfiore. «Avevo 15 anni quando uccisi Salvatore Belfiore e scelsi lo stesso giorno dell’omicidio di mio padre affinchè anche chi lo aveva ucciso non dimenticasse mai tale mese e giorno. Ho ricevuto la dote di ‘ndrangheta dello sgarro a 17 anni, saltando quella di picciotto visto che avevo già commesso un omicidio. Tuttavia la mia famiglia mi ha fatto studiare, ho fatto il Liceo Classico e poi l’Università perché i Cannizzaro-Da Ponte volevano fare un salto di qualità». Salto di qualità che spingerà Gennaro Pulice sino a Lugano doveva aveva aperto uno studio di consulenza legale e commerciale costituendo anche società in Svizzera, Estonia e Slovenia dedite anche al riciclaggio.


Egidio Muraca e la N.C.O. di Cutolo 

«Negli anni ’70 ed ’80 a Lamezia Terme c’era un locale di ‘ndrangheta creato da Egidio Muraca. Si trattava di un personaggio di tutto rispetto, capace di dettare le “regole” mafiose e di affiliazione persino a Raffaele Cutolo. È stato infatti proprio Egidio Muraca durante un comune periodo di detenzione ad insegnare al napoletano Raffaele Cutolo le regole sui riti di affiliazione alla ‘ndrangheta che sono poi stati adottati per la nascita della Nuova Camorra Organizzata in Campania. Dopo l’omicidio di Muraca, la città di Lamezia Terme non ha più avuto un locale di ‘ndrangheta, continuando a dipendere da San Luca».

Il grado della Santa 

È nel 2001 che Gennaro Pulice ottiene la dote della “Santa” in seno alla ‘ndrangheta, portando nella “copiata” mafiosa all’atto dell’affiliazione i nomi di: Leo Mollica di Africo, Peppe e Gino Da Ponte di Lamezia, Carmine Arena di Isola e Nicodemo Guerra di Cirò. «Con il grado di santista mi venne spiegato che io per salvare me stesso o i miei nuovi compagni con lo stesso grado potevo anche tradire chi nella ‘ndrangheta aveva una dote inferiore. Potevo avere rapporti con la politica, la massoneria, la magistratura ed anche con le forze dell’ordine. Vivevo in Belgio ed in Olanda quando venni richiamato a Lamezia dalla mia famiglia per ricevere la dote della Santa e partecipare alla guerra di mafia contro i Torcasio».

Il desiderio di staccarsi dai reggini e creare un "crimine"

«Negli ultimi anni i lametini hanno cercato in tutti i modi di creare un Crimine distaccato da San Luca. Per far questo sposarono il progetto portato avanti dal boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, con il sostegno dei Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte, dei Giampà, dei Torcasio, degli Scumaci di Botricello, dei Mannolo di San Leonardo di Cutro e di altre famiglie ma sino al 2015 Lamezia Terme non è riuscita a sganciarsi a livello mafioso dai reggini. Non sono a conoscenza del periodo successivo».

I lavori sull'autostrada e la divisione con i Mancuso

Gennaro Pulice ha quindi spiegato che vi erano rapporti storici e datati fra il clan Iannazzo ed i Mancuso di Limbadi. «Per i lavori sull’autostrada nel tratto ricompreso fra Vibo Valentia e Lamezia Terme, i Mancuso ed i Iannazzo mettevano a lavorare ditte di loro gradimento e riferimento. I Iannazzo avevano l’imprenditore Salvatore Mazzei, i Mancuso un tale Puntoriero».  Una “fetta” della “torta” sui lavori autostradali sarebbe andata anche al boss di Filadelfia Rocco Anello.

I rapporti con i vibonesi

Solidi rapporti, secondo Gennaro Pulice, avevano poi i Iannazzo con il boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga (ucciso a Riace nel settembre del 2009), mentre altri rapporti e accordi intercorrevano fra gli stessi Iannazzo e il boss di Filadelfia Rocco Anello per la gestione dei villaggi turistici lungo la Statale 18 che attraversa i territori di Lamezia, Acconia di Curinga e Lamezia. Rapporti con i Iannazzo avrebbero avuto negli anni anche i Fiarè di San Gregorio d’Ippona ed i Bonavota di Sant’Onofrio, mentre i Cannizzaro di Lamezia (ma originari di Rosarno) per il traffico di stupefacenti si sarebbero rapportati anche con la famiglia Barba di Vibo Valentia.

Pulice contro Mantella e l'intervento di Vallelunga

Gennaro Pulice ha quindi ricordato di essere stato incaricato dal suo clan di eliminare Andrea Mantella, mentre quest’ultimo avrebbe a sua volta cercato di uccidere Pulice. «Andrea Mantella – ha spiegato il collaboratore – ha un legame familiare con i Giampà di Lamezia Terme in quanto è cognato con il fratello del boss Francesco Giampà, detto Il Professore. Proprio per questo io ero stato incaricato di uccidere Andrea Mantella in quanto il nostro clan era all’epoca in guerra con i Giampà e sapevamo che i Giampà volevano uccidere me proprio attraverso Andrea Mantella. Se ancora oggi sono vivo lo devo al boss di Serra, Damiano Vallelunga, il quale mi informò dell’intenzione di Mantella di voler uccidere me e Bruno Gagliardi ed anzi si oppose a tale progetto di morte.

Giampà storicamente hanno sempre avuto buoni rapporti a Vibo con Carmelo e Paolo Lo Bianco, ma anche con i Mancuso di Limbadi. In precedenza ho saputo invece che Andrea Mantella stava cercando dell’esplosivo da azionare con il telecomando al fine di utilizzarlo per un omicidio a Vibo Valentia. So che si rivolse ad un uomo dei Cannizzaro- Da Ponte i quali non diedero però a Mantella l’esplosivo richiesto».

I negozi di abbigliamento e le ingerenze dei clan

Non sono mancati nel racconto di Gennaro Pulice i riferimenti agli imprenditori attivi nels ettore dell’abbigliamento sull’asse Vibo-Lamezia. «Ricordo – ha raccontato il collaboratore – che i Torcasio di Lamezia sottoposero ad estorsione l’imprenditore di Pizzo Vito Stingi che aveva dei negozi – Bata ed altri – a Lamezia. Neanche i Mancuso riuscirono a bloccare tale estorsione, poiché con i Torcasio non si poteva proprio parlare e non guardavano in faccia nessuno. Per quanto riguarda il negozio di Artusa, invece, io stesso mi recavo a Vibo Valentia per acquistare capi di abbigliamento e lui mi faceva forti sconti perché appartenevo ai Iannazzo. Artusa era il classico imprenditore che aveva a che fare sia con i Mancuso che con i Giampà. Anzi, ricordo che quando in seguito Artusa ha aperto il negozio anche a Lamezia Terme, mi disse che era protetto dai Giampà, con Giuseppe Giampà, figlio del Professore, che si vantava del forte legame con Artusa».

Il carcere di Catanzaro in mano ai detenuti

Gennaro Pulice ha infine ricordato il controllo esercitato dai detenuti sul carcere di Siano a Catanzaro. «All’epoca in cui ero detenuto a Siano, ero io il capo-sezione e in tale veste mi rapportavo con le guardie ed eravamo noi detenuti a gestire di fatto il carcere stabilendo chi doveva stare in una cella piuttosto che in un’altra. Il tutto per avere una detenzione il più comoda possibile. In carcere nel 2004 ho conosciuto Orazio Cicerone che mi è stato presentato da Pino Fruci di Acconia di Curinga come uomo dei Mancuso, e quindi quale altro componente della famiglia Mancuso mi è stato presentato un soggetto che aveva l’Irish Pub a Tropea, una persona che però non portava il cognome Mancuso. Sempre in carcere ho conosciuto Giuseppe Accorinti, i Fiarè di San Gregorio d’Ippona ed i Bonavota di Sant’Onofrio. So che questi due clan – ha concluso Pulice – erano legati ai Iannazzo».

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Giornalista
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