Rinascita-Scott, Mantella: «Con un commando sotto casa, così i Cracolici volevano uccidermi»

Dal ruolo del clan all’interno della criminalità vibonese alla faida fra il gruppo di San Gregorio e i Lo Bianco. I dettagli del controesame del collaboratore di giustizia nel maxiprocesso in corso a Lamezia

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di Giuseppe Baglivo
16 giugno 2021
21:30
Andrea Mantella
Andrea Mantella

Dal ruolo dei Cracolici all’interno della criminalità vibonese alla faida fra i sangregoresi ed i Lo Bianco. Il controesame di Andrea Mantella nel maxiprocesso Rinascita Scott è andato avanti nel pomeriggio con le domande degli avvocati Giorgia Greco, Giuseppe Bagnato e Santo Cortese.

In particolare, rispondendo alle domande dell’avvocato Giorgia Greco, che difende Francesco Cracolici, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella ha spiegato che “i Cracolici davano fastidio alle mire espansionistiche dei Bonavota nell’area di Maierato” e quindi il clan di Sant’Onofrio ha quindi deciso di eliminare prima di Alfredo Cracolici (2002), ritenuto il boss di Filogaso, e poi il fratello Raffaele Cracolici, considerato il boss di Maierato. A tale ultimo agguato (2004 a Pizzo), Mantella ha confessato di aver “fornito appoggio militare ai Bonavota”. I Cracolici, secondo il collaboratore di giustizia, avrebbero costituito un proprio gruppo criminale con l’appoggio di diversi nipoti di Alfredo (in foto) e Raffaele Cracolici.


Il racconto di Mantella

 “Io conoscevo Francesco Cracolici – ha affermato Mantella – che voleva vendicare le morti di Alfredo e Raffaele Cracolici eliminando sia me che i Bonavota. Francesco Cracolici era un azionista ed un soggetto pericoloso e temevamo la sua risposta. L’ho conosciuto nel 1992 e mi ha aiutato nella latitanza che ho fatto a Maierato e Filogaso. Ero ricercato – ha ricordato Manrella – per l’omicidio Manco. Dopo gli omicidi di Alfredo e Raffaele Cracolici, Francesco Cracolici mi fece un appostamento sotto casa a Vibo con un commando armato che voleva uccidermi. Stavano usando un furgone Doblò con il tetto tagliato dal quale si poteva sparare. Pure io ero armato e non ho sparato sul furgone solo perché ho avuto un attimo di esitazione in quanto ho pensato si potesse trattare di un furgone dei carabinieri che mi stava spiando. Tempo dopo Francesco Cracolici – ha spiegato il collaboratore – mi ha ammesso che in quell’occasione era stato lui a passare con il furgone ma negò che avesse propositi omicidiari nei miei confronti e si giustificò dicendo che il furgone gli serviva per le rapine. Francesco Scrugli e Pino Barbieri gli dissero di non provarci nemmeno a spararmi perché sarebbe poi stato ucciso sin dento casa”.

I Cracolici e il mancato appoggio dei lametini

Mantella ha quindi riferito che i figli dei defunti Alfredo e Raffaele Cracolici, ovvero i cugini Francesco e Domenico Cracolici, per eliminare Mantella e i Bonavota si sarebbero rivolti ai Giampà di Lamezia Terme al fine di avere appoggio militare. Il sostegno da parte dei Giampà – parenti di Mantella – non è però mai arrivato. “Ricordo che Onofrio Barbieri fece diversi appostamenti fra Maierato e Filogaso per sorprendere Francesco Cracolici ed ucciderlo ma non ci riuscì. Si diceva nell’ambiente che in passato Francesco Cracolici avesse scannato una persona con un coltello. In altra occasione, invece, mi trovavo in un ristorante a Vibo insieme ai Papalia proprietari di un villaggio turistico e in quell’occasione ho rischiato di essere ucciso dai Cracolici. È stato Giuseppe Accorinti a raccontarmi –ha ricordato Mantella – che Francesco Cracolici era arrivato sul posto per uccidermi avendo ricevuto la soffiata su dove mi trovavo dal titolare del ristorante che era un parente di Francesco Cracolici. Per fortuna sono uscito via prima dal ristorante. Ci è mancato poco che venissi ucciso”.

La faida fra i Fiarè-Gasparro contro i Lo Bianco

Il controesame dell’avvocato Giuseppe Bagnato si è invece concentrato sull’origine della faida fra i Gasparro-Fiarè-Razionale ed i Lo Bianco di Vibo Valentia, alcuni componenti dei quali risiedevano negli anni ’80 a San Gregorio d’Ippona. Tutto ha avuto inizio con l’omicidio di Pino Gasparro nella piazza principale di San Gregorio d’Ippona ad opera di Francesco Fortuna, alias “Ciccio Pomodoro”, poi ucciso per vendetta nel 1988 a Pizzo Calabro. A seguito dell’omicidio di Pino Gasparro – ritenuto il capo della cosca di San Gregorio d’Ippona – la reazione dei Fiarè-Gasparro-Razionale sarebbe stata durissima, costringendo tutti i Lo Bianco residenti a San Gregorio d’Ippona a far rientro a Vibo Valentia. A subire un agguato, secondo Andrea Mantella, anche Antonio Lo Bianco (cl. ’48) – imputato in Rinascita Scott – sparato ma non colpito da Filippo Fiarè. “Antonio Lo Bianco (in foto) nell’occasione – ha dichiarato il collaboratore – ha fatto in tempo a chiudersi la porta alle spalle mentre Filippo Fiarè sparava”. Su domande dell’avvocato Giuseppe Bagnato, il collaboratore ha poi ricordato che i contrasti fra i Fiarè ed i Lo Bianco sarebbero sorti anni prima, intorno al ’72-’73, “per una questione di pascoli quando Rocco Fiarè uccise il padre di Antonio Lo Bianco cl. ’48 e si fece anche il carcere.

La sorella di Antonio Lo Bianco – ha riferito Mantella – , suocera di Nicola Barba e di nome Annunziata, per questo fatto si diceva a Vibo che sputò in faccia a Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, perché da capo del clan non era stato in grado di vendicare il padre di Annunziata e anzi si era accordato con i Fiarè”. Fra gli omicidi programmati da Mantella e non portati a termine, invece, anche quello nei confronti di Francesco Cortese di San Gregorio d’Ippona, detto “Ciccio Nocciolina”. “Lo dovevo uccidere – ha dichiarato Mantella – nel corso di una festa patronale negli anni ‘90”.

I vertici del clan Lo Bianco e la figura di Domenico

Rispondendo invece alle domande dell’avvocato Santo Cortese, Andrea Mantella ha poi riferito che attualmente le “figure apicali del clan Lo Bianco di Vibo sono attualmente rappresentati da Paolo Lo Bianco, Antonio Lo Bianco cl. ’48, Filippo Catania, Enzo Barba e Domenico Franzone. Domenico Lo Bianco Lo Bianco, fratello di Paolo – ha riferito il collaboratore – è invece un personaggio meno in vista rispetto a Paolo Lo Bianco e non l’ho mai visto a riunioni o cerimonie di ‘ndrangheta. E’ comunque uno ‘ndranghetista che faceva usura con Giovanni Franzè”.

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Giornalista
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