Il 7 settembre 1990 furono uccise con numerosi colpi di pistola Maria Marcella e la sua bimba, Elisabetta Gagliardi. Quello stesso giorno era rimasto ferito in un agguato anche il padre Mario Gagliardi
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Sono trascorsi 35 anni dal giorno in cui a Palermiti, in provincia di Catanzaro, vennero uccise Maria Marcella, 47 anni, e sua figlia di appena nove anni Elisabetta Gagliardi.
Una vera e propria esecuzione quella che ha straziato due vite, un agguato compiuto in contrada Sanguria, in una abitazione che è in parte un rustico, un pezzo della quale destinata a diventare un ristorante.
La bambina è stata ritrovata dai carabinieri di Squillace per terra, con due colpi di pistola alla nuca. Forse stava cercando di fuggire dopo aver visto sua madre venire trucidata da 23 colpi di pistola mentre si trovava dietro al bancone del bar. Ventitré colpi provenienti da diverse armi.
La bambina è stata ritrovata per prima. A far rintracciare il corpo della madre è stata la scia di bossoli. Gli assassini, dopo quel feroce eccidio, chiudono porte e finestre e abbassano le saracinesche.
I carabinieri arrivano sul luogo del delitto per via di un altro episodio che quel giorno ha insanguinato le strade di Palermiti: nel corso di una sparatoria, nel primo pomeriggio, vengono feriti Mario Gagliardi, all’epoca 49 anni, marito e padre delle due vittime, e l’imprenditore Domenico Catalano. Si erano incrociati con le auto sulla vecchia provinciale e stavano parlando tra loro quando due uomini su una moto, i volti nascosti dai caschi, li affiancano e cominciano a sparare. Gagliardi viene colpito all’addome ma decide di non aspettare i soccorsi: prende l’auto e va verso casa, in paese. Qui non trova nessuno perché moglie e figlia erano al rustico di contrada Sanguria. Gagliardi, pluripregiudicato con un passato da rapinatore a Milano e dedito al movimento terra, sta troppo male e va in ospedale a Soverato dove prima di lui era arrivato l’imprenditore Catalano.
Nel frattempo i militari arrivano nel rustico che doveva essere trasformato in ristorante. Trovano le saracinesche abbassate ed entrano da una porta secondaria.
La prima scena che appare ai loro occhi è quella della bambina riversa col volto sul pavimento.
«Trucidate in casa per una vendetta di ‘ndrangheta», è scritto nell’elenco redatto nel 2014 dalla commissione contro la ‘ndrangheta delle Regione Calabria.
Il Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei diritti umani ricorda oggi quella tragedia rimasta senza colpevoli: «La crudeltà di quell’agguato non fu soltanto un atto criminale, ma un’offesa ai valori più profondi di una comunità: la sacralità della vita, la protezione dell’infanzia, la dignità di ogni essere umano».