Il “vellutello”, il muschio morbido e lucente come velluto, che traccia le strade e ricopre le pietre d’Aspromonte, la culla dorata in cui si svela Gesù Bambino, la grotta che sembra vera e quell’atmosfera magica che avvolge come un afflato intimo, un abbraccio senza tempo.

Il presepe nel focolare di ogni famiglia benestante e il presepe in Chiesa per i più poveri che in pellegrinaggio si recano in Chiesa per adorarlo.

L’invito al Bambinello a lasciare il freddo per andare in contro al calore di ogni cuore e i canti notturni, in tutte le lingue della Calabria, per scandire l’attesa della venuta del Messia carica di speranza e di gioia interiore.

Un tripudio di ricordi, emozioni, suoni, odori e sapori si svela nelle pagine di Corrado Alvaro, Saverio Strati, Domenico Zappone e Gianni Carteri che con i loro racconti, aprendo lo scrigno dei ricordi d’infanzia, ci conducono in un mondo oggi sempre più lontano.

Il Presepe di Corrado Alvaro

«I presepi di qui sono belli. Si fingono monti facendo alture, piccole, di pietre, e coprendole con vellutelli. Fanno le strade in mezzo al vellutello, fanno il fiume finto che sembra vero e va a gittarsi in un laghetto finto, dove c'è un uomo che pesca.
Fanno la grotta che sembra vera, la stalla, la fontanella e tante belle cose. La notte di Natale, che gioia, giocammo a tombola fino alle nove della sera. Io ho vinto un soldo; alle nove andammo a vestirci, e andammo in cattedrale dove si disse la Messa e a mezzanotte precisa si svelò il Bambino che era grande nella sua culla dorata».

Il Presepe, caro a Corrado Alvaro (San Luca 1895 – Roma 1956) perché caro al padre Antonio e alla sua famiglia vissuta nel cuore dell’Aspromonte, rivive così nella raccolta di racconti Gente in Aspromonte. 

Alvaro ci consegna una pagina altamente rappresentativa del realismo del Novecento.

Un'atmosfera che Corrado Alvaro aveva affidato alla carta anche da giovanissimo.

La pubblicazione della sua prima opera narrativa, fino al 2014 inedita, data alla stampa con i caratteri di Donzelli con il titolo “Un paese e altri scritti giovanili (1911 – 1916)”, ha portato alla luce un altro scritto alvariano dedicato al Natale. La raccolta, curata dall’antropologo calabrese Vito Teti, contiene scritti consegnati da Alvaro, nel 1940 circa, a Domenico Lico, suo amico fraterno e compagno di studi al Galluppi di Catanzaro.

Risalente al 1916, mentre il giovane Alvaro si trovava a Livorno, convalescente e reduce dal Carso durante la Grande Guerra, questo affresco che sprigiona la luce delle tradizioni e del suono mentre splende il Presepe.

«Natale era dunque venuto. I ricchi si facevan mandare torrone e dolci dalle città, il popolo aveva conservato olio, fior di farina e miele; e tutte le case fin dalla Vigilia fumavano allegramente e per l’aria c’era odore e stridore di olio vergine, i ragazzi avevan conservato la cera per fare la pallottolina dei pifferi di canna. (...).

Il primo a rompere il buio e il silenzio fu lo zampognaro: si snocciolò lungo la via principale, dai vicoli scuri una fila di donne raccolte, colle mani sul seno, una dietro l’altra. Le fiaccole di resina illuminavano la via, i vetri della chiesa erano rischiarati, il presepe splendeva. I ragazzi facevan ressa sui gradini dell’altare e soffiavano nei pifferi di canna, le donne intonavano il canto limpidamente».

Il Natale di Saverio Strati

Affreschi che restituiscono il senso del Natale vissuto con grande dignità e profondità anche da chi mezzi non aveva, è anche rievocato da Saverio Strati (Sant’Agata del Bianco 1924 – Scandicci 2014) nel volume "Il Natale in Calabria", dato alle stampe nel 2006 con i caratteri della casa editrice vibonese QualeCultura nella collana Granelli di Sapienza.

Un brano antesignano di quella sarebbe diventata una fiaba moderna, capace di emozionare e tramandare della Calabria la bellezza e l'intensità emotiva della Fede.

«Per un ragazzo del nord il Natale corrisponde certamente a vetrine illuminate e zeppe di giocattoli e di robe di ogni genere, all’albero dove sono appesi dei regali; e forse non avverte la preoccupa­zione dei genitori per la mancanza di soldi o di lavoro o addirittura del pane quotidiano. Per un ragazzo del sud, al contrario, il Natale prende un altro aspetto, gli si presenta con altra faccia. C’è il presepe, che ripete pari pari la storia della nascita del figlio di Dio.

Ma il presepe in casa è segno di ricchezza: cioè vien fatto nelle case dei ricchi. Nelle case dei contadini o degli operai e artigiani non si fa il presepe. Lo si prepara in chiesa. Ed è opera popolare, costruito, messo su dall’abilità e spesso dalla genialità dei più bravi ragazzi; e concesso al godimento dei poveri attraverso la Chiesa, sempre mediatrice tra Dio e popolo».

Domenico Zappone, i trilli dei mandolini e l'odore dei fichi cotti al forno 

Anche il giornalista e scrittore Domenico Zappone (Palmi 1911-1976), ci lascia numerosi racconti sul Natale tra i quali questo affresco pregno di nostalgia e incanto.


«I pastori riempivano l'aria del loro suono gemente, invano allietato dal tamburello frenetico. Sembrava un lamento mansueto e piano, fermo nel cielo dall'alba al tramonto, quando noi, seguendo l'esempio, intonavamo i nostri canti gentili e semplici. Con le nostre strofe invitavamo (sì, c'ero anch'io, ero anch'io un personaggio di quel mondo favoloso per sempre scomparso), invitavamo, dunque, il Bambinello a lasciare il gelo della via e a venire da noi che gli avremmo preparato un lettuccio ben caldo vicino al nostro cuore (...).

Questi canti, il suono delle zampogne, i trilli dei mandolini, l'odore dei fichi cotti al forno, la fragranza dei torroni preparati in casa, l'ansia delle mamme intente a preparare le zeppole con l'uva passa e la tonnina, che, messe a friggere, diventavano soffici come un dolce, i canti dei galli nel cuore della notte, terribili come un messaggio, le storie terrificanti della strage degli innocenti raccontate dalla nonna, cento e cento altre cose non meno belle e patetiche trasformavano il paese e gli abitanti creando un mistico alone di poesia e di bellezza».

Gianni Carteri e i canti notturni dell’Attesa 

Lo scrittore e critico letterario Gianni Carteri (Brancaleone superiore 1952 – Bovalino 2015), nel brano tratto da “Memorie al confino. Pavese, Brancaleone e altri miti”immerge il lettore in una testimonianza dell'Amore che non è tale se non si rinnova, confidando che quelle canzoni intonate la notte di Natale, nonostante il tempo trascorso, aprono sempre il cuore dell’umanità alla speranza.

«In un mondo che immagina il Natale occasione per costosi regali o lauti banchetti, io continuo a viverlo con sentimenti assai diversi. Ostinatamente ritorno alla mia infanzia felice e ai canti notturni della novena che rendeva l’attesa della venuta del Messia carica di speranza e di gioia interiore. Nell’antica chiesa di Brancaleone Superiore al mattino non c’era un orario fisso. 

Dalle campagne, dalle frazioni vicine accorrevano pastori e contadini, signorotti e guardiani, vecchi e giovani e in un baleno la chiesa era strapiena di gente infreddolita e digiuna dalla mezzanotte per potersi accostare all’Eucarestia: allora anche l’acqua rompeva il digiuno. Una ciurma di bambini sedeva intorno all’altare cinquecentesco inseguendo nei mosaici di marmi multicolori fantasmi e fantasie; la porticina in legno del Tabernacolo non ci stancavamo mai di guardarla: il Buon Pastore aveva sulle spalle una pecorella stanca e spaurita e ci trasmetteva una dolcezza inesprimibile.

(…) Ancora oggi ho l’abitudine di alzarmi che è ancora buio e quando si avvicinano i giorni dell’Attesa, i giorni che cambiarono la storia dell’uomo, sento risuonare nella mia stanza la dolce melodia delle infantili nenie natalizie. Mia madre non c’è più ma per me è sempre presente e accanto e, con animo leggero, continuo a chiederle di intonare le sue, le nostre vecchie canzoni che aprono sempre il cuore alla speranza e che mi ripetono che anche stanotte per il mondo sarà una irripetibile e sempre nuova Notte d’Amore».

In ognuna di queste pagine si schiude uno scrigno dell’infanzia, custodito come fosse il tesoro più prezioso. Ogni racconto è un dono e conduce chi legge in un mondo in cui la povertà, insegnando la semplicità, salva l’umanità. Un mondo puro ed essenziale oggi sempre più lontano, di cui la letteratura diventa preziosa custode.