La donna della quale voglio raccontarvi conosceva bene la Calabria - Nessuno / che non abbia voce di vento / e anima di esule stanco / potrà dirvi le segrete memorie / di questa nostra terra; e la storia delle donne che ci vivono - (Che inutile travaglio generare una figlia: / due braccia meno forti per i campi / un corredo di tela da approntare e un chiuo destino già segnato…)

Sto parlando di Giusi Verbaro, la poetessa di Soverato (docente, saggista, critica letteraria e operatrice culturale) che dal viaggio di Un dio della domenica in una terra come la Calabria, un paese stremato dal sole… chiuso in sortilegio che lo smemora… ma la gente qui porta neri manti / e vi si avvolge in sudario / per la pena dei secoli, passa ad un altro viaggio, più faticoso, quello del Logos, la Razionalità (Tutto è possibile: anche salvare il cielo dal mito della morte) che la condurrà verso la liberazione, la parola pura: ecco: il senso del discorso è appeso all’”inconcluso potenziale”.
Ma in fondo… è lo stesso intenso viaggio (difficile da riassumere in poche righe ma facile per i piccoli poeti dissanguati- smarriti eroi / tra rovine di guerre mai concluse.). E la sua ansia si trasforma perché se il viaggio riscopre il tragico confronto / tra ragione e istinto / tra fede e compromesso / tra una pietà feroce e la tenera febbre dello scavo / non ci serve una rotta.

Attraversa la condizione femminile, Giusi Verbaro che, fin dal principio, afferma: Voglio essere voce e parte. Partire. Fino al cuore scontroso della terra / e nei solchi affondare come seme. E sa come viaggiare Le mie vele saranno le parole. Inizia un gioco raffinato e ossessivo della parola, del concetto. Così Penelope / inghiotte storia e lacrime su caparbie speranze.

Viaggia con coraggio e con furore, va incontro a rischi, prova sensi di colpa, fa errori di valutazione, ma percepisce e si libera. Restare in equilibrio sopra il moto perpetuo delle cose. Si può? Penelope tesseva e disfaceva / ogni notte la tela / (feroce gioco d’amore a proteggere giorni dissanguanti) / All’alba / ritrovava, paziente, / l’inganno del suo filo di memorie.
Allora la pazienza è davvero utopia. Ma nel canzoniere amoroso Per amore, per follia, la Verbaro si rimette in gioco: Ininterrottamente, si fugge da qualcosa / e mai farsene salvi./ E si ritorna, sì che ritorna / alle tappe perdute / quelle da cui fuggimmo / da cui credemmo d’essere esiliati; / l’assedio il rogo il bozzolo di miele. / Resta l’amore, forse / - sconfessata utopia – l’ultimo volo.

Una poesia che abbraccia l’intero circolo dell’esistenza ma che si fa donna. Il tempo che correva dietro ai nidi / si è fermato negli occhi delle donne / - nere pozze di fumo e annegate domande. Per fortuna ha sogni di risvegli la collina dell’infanzia e quell’ulissismo, quell’ansia verde tenera del viaggio e certo, un dio la sorregge se il cuore è ancora vivo e in attesa di eventi. Il cuore di Giusi Verbaro è ancora vivo. In principio fu gioco di parole / la felice magia della parola / a riproporre il rischio come sfida. Alla fine fu ancora parola perché la speranza è che la salvezza si configuri proprio nello spazio scavato dalle parole.

Secondo la lezione del non approdo di Luzi, il viaggio è circolare, senza mai fine: poesia/vita/poesia. Ma forse… forse l’approdo è in Calabria, nel rifugio, ne l’Isola. Dalla lunga impostura dei rimorsi / col vento forte che squassò le cime, torniamo / all’unica certezza che ci resti: un paese / a balcone sopra il mare ed una grande casa.

A sua madre scrisse: sarà vero che a furia di scavare / io colmerò la buca il pozzo il mare. Perché tornata da viaggi in apparenza irrevocabili / a cercare nell’ombra dello stipo / l’impronta che ebbe un senso, Giusi Verbaro torna dalla sua erranza nella stanza segreta di casa sua, della sua Calabria perché è interna l’avventura.
È tutta dentro / il sangue. Circola nell’intrico delle vene e ci riporta proprio lì, al centro della pagina / come al centro del cuore dove la poetessa ci congeda: proprio lì, dove resta / l’insensatezza del correre e tornare / e l’innocente svolgersi del filo.