C’è un silenzio particolare, quando si entra nella sala che ospita la mostra di pirografia di Carmela Capria: un silenzio che non pesa, ma accoglie. È lo stesso silenzio che sembra avvolgere le sue opere, nate dal fuoco e dalla pazienza, e che raccontano, con una delicatezza sorprendente, la memoria sacra e rurale della Piana di Gioia Tauro.

Capria, artista autodidatta e collaboratrice scolastica, è una donna ispirata e riflessiva, che ha trovato nella pirografia una forma di espressione autentica. Il suo percorso non nasce da accademie o percorsi formali, ma da un istinto creativo che si radica nel territorio, nella fede, nelle tradizioni familiari del Novecento rurale calabrese.

Le tavole esposte sono segnate da una meticolosità rara: ogni tratto sembra meditato, ogni sfumatura di bruciatura è parte di un racconto antico. Le figure – volti di contadini, madri, bambini, santi popolari – colpiscono per la forte espressività. Non sono semplici soggetti, ma piccoli frammenti di una civiltà che resiste nel ricordo collettivo e che l’artista restituisce attraverso un linguaggio visivo caldo, quasi intimo.

All’apertura della mostra, il pubblico è stato numeroso: molti visitatori, molti sguardi stupiti, molte parole di apprezzamento sussurrate davanti a opere che sembrano parlare da sole. C’è qualcosa di profondamente emozionante nel vedere come, da un materiale semplice e da una tecnica antica, possa nascere una forma d’arte tanto coinvolgente.

La pirografia di Carmela Capria non è soltanto abilità tecnica, pure evidente e notevole, ma è soprattutto un atto d’amore verso la propria terra. Ogni manufatto racconta un mondo che appartiene a tutti: la sacralità domestica, le storie della civiltà contadina, il legame con il lavoro, con la spiritualità, con le radici.

La mostra lascia una sensazione dolce e persistente: quella di aver incontrato un’artista che, attraverso il fuoco, restituisce vita a ciò che rischiava di rimanere soltanto memoria. Le sue opere non si guardano soltanto: si ascoltano.