Reggio Calabria ha straordinariamente vissuto una serata che somiglia a una capsula del tempo. Luci basse, oggetti in scena come indizi, un grande schermo che accompagna la narrazione, una colonna sonora che conduce il pubblico dal dopoguerra ai giorni nostri. Fulvio D’Ascola ha costruito “That’s the way of the world” come un percorso a tappe, serrato e cinematografico, in cui la musica diventa archivio emotivo e strumento di lettura della società.

A margine dello spettacolo nella splendida cornice di SpazioTeatro, l’autore chiarisce la genesi di una formula che tiene insieme racconto, video e canzoni, con un ritmo che richiama la radio e la televisione. «È tutto un viaggio che nasce dalla mia voglia di raccontare. Se fossi stato un cantante avrei scritto le canzoni, oppure avrei fatto il musicista, avrei suonato. E allora ho pensato, da diversi anni, di raccontare delle storie attraverso degli oggetti, attraverso delle canzoni, soprattutto attraverso dei filmati, creando uno storyboard».

Il titolo nasce da un riferimento preciso e diventa una dichiarazione di poetica. «That’s the way of the world nasce ispirandosi a una canzone degli Earth, Wind & Fire, da un album. Così va il mondo, per capire quello che sta accadendo e far comprendere come è cambiata la società dal dopoguerra fino a oggi». Un cambiamento che attraversa valori, linguaggi e forme di comunicazione, con la musica come filo continuo e specchio del tempo.

In scena scorrono temi che hanno segnato intere generazioni. La discriminazione razziale, le guerre, le fratture sociali, accanto alla forza luminosa di stagioni musicali capaci di restituire energia. «È un viaggio che tocca la discriminazione razziale, le guerre, ma anche la positività di momenti come il periodo della disco, del Night Fever, della musica soul e della Motown». Il risultato è un’altalena emotiva consapevole, costruita per coinvolgere chi guarda. «Lo spettatore vive gioia, dolore, allegria, tristezza. È un viaggio emozionale che il pubblico ha apprezzato».

La partecipazione della sala diventa parte integrante dello spettacolo. L’interazione accompagna la riflessione e la rende condivisa. «Partire da un oggetto, da una canzone, da frame della nostra vita può diventare riflessione, soprattutto per i giovani. Si può distribuire conoscenza e si possono trasmettere emozioni anche dalle piccole cose». Una visione che guarda avanti senza perdere il contatto con la memoria. «Lo possiamo fare col sorriso, con le canzoni, con i ricordi, continuando a viaggiare verso l’alba, cercando la bellezza che arriverà il giorno dopo».

Nel dialogo entra anche il rapporto tra musica e società, osservato nel presente dominato da tecnologia. «La musica vivrà sempre, le canzoni sono immortali. Raccontano lo spezzone di società in cui sono nate». Poi l’analisi sul tempo attuale. «Viviamo in una società di grande tecnologia, con l’auto tune, la musica elettronica, programmi che creano contenuti anche attraverso l’intelligenza artificiale. Oggi si parla sempre più di intrattenimento».

Inesorabilmente anche Reggio Calabria diventa parte del racconto. D’Ascola ringrazia Gaetano Tramontana e l’esperienza di Spazio Teatro, indicandola come presidio culturale autentico. «È un luogo bellissimo. Qui siamo stati bene». Poi il passaggio che sposta il discorso sul terreno delle responsabilità. «I riferimenti culturali devono nascere da chi mette la faccia, in maniera disinteressata, nel creare eventi. Servono poi referenti istituzionali competenti, con esperienza, capaci di dialogare con chi fa arte o prova a farla».

È in questo punto che lo spettacolo esce dal palco e si lega alla città. Un viaggio nella musica che diventa lettura del presente e domanda aperta sul futuro, affidata a luoghi che resistono e a chi sceglie di farli vivere, una sera alla volta.