A dieci anni dalla scomparsa di Giusi Verbaro, all'anagrafe Giuseppina Laetitia Cipollina, è uscita, per i tipi di Rubbettino, una bella antologia che prende il titolo da un verso dell'autrice: La parola che quadra e che scompiglia. Il volume, che sarà presentato il prossimo 13 agosto a Soverato nella piazzetta dedicata alla poetessa, testimonia come la sua vita sia stata in gran parte dedicata al lavoro sui versi e come questo abbia suscitato un indubbio interesse nella critica. La raccolta curata egregiamente da Caterina Verbaro, docente di letteratura italiana contemporanea, nonché prima figlia della poetessa, riserva uno spazio considerevole a coloro che si sono occupati dell'opera della Verbaro: tra i tanti, cito per ragioni sentimentali Giorgio Barberi Squarotti, Angela Francesca Gerace, Nicola Merola, Renato Nisticò e Donato Valli.

Nata a Catanzaro nel 1938, Giusi Verbaro consegue la maturità classica e, dopo essersi trasferita con la famiglia a Firenze, si laurea in Biologia nel 1961. La sua carriera di docente di Scienze Matematiche nelle scuole superiori inizia quello stesso anno a Catanzaro, dove torna a vivere dopo il matrimonio con Giuseppe Verbaro, del quale assumerà il cognome. Dal 1971 al 2013 ha pubblicato venti raccolte poetiche, diversi racconti e curato non poche antologie. Ha scritto di letteratura e d'arte per giornali e riviste.

Esordisce in poesia nel 1971 con Voglio essere voce. Nel 1979 esce Traiettorie e traslazioni, raccolta poetica seguita, tra le altre, da A valenze variabili (1981), Mediazioni e ipotesi per maschere (1985) e Utopia della pazienza (1986). A questo periodo risalgono le poesie della maturità espressiva e del pieno riconoscimento critico, testimoniato dalla ricca bibliografia di studi annessa all'antologia di Rubbettino.

Successivamente, tra gli anni ottanta e novanta, sarà la tematica amorosa ad affermarsi nella poesia di Giusi Verbaro, da L'eroe (1989) fino a Le lune e la Regina (1993); mentre, nel corso degli anni novanta e poi nel nuovo millennio, l'autrice propenderà per il "romanzo in poesia".

A questa fase appartengono le raccolte Nel nome della madre. Ritratto di signora e altre figure (1997), Luce da Hakepa (2001) e Solstizio d'estate (2008). La linea di ricerca degli ultimi anni è più marcatamente memoriale, ma le atmosfere in opere come Isola(2000), La casa sulla scogliera (2010) e Il vento arriva da uno spazio bianco (2013) sono surreali e oniriche.

Caterina Verbaro, nella Nota al testo del volume appena uscito, mette ordine e individua, coerentemente con quanto detto sinora, tre fasi dell'ispirazione della poetessa: La bio-poesia, che va dal 1979 al 1988, La poesia d'amore, dal 1989 al 1993, e Il tempo e la memoria, dal 1994 al 2013. A queste si aggiungono un'ulteriore fase, per così dire, preparatoria, individuata come La preistoria poetica, e alcune poesie non raccolte in volume, fatte confluire in una sezione apposita. Proprio in quest'ultima parte si possono trovare alcuni versi dedicati alla Calabria e più impegnati su temi sociali. Sono tratti da una silloge pubblicata nel 1982, Un dio per la domenica, ma scritti prima del 1978. Mi piace molto la poesia intitolata Questo è un regno di polvere e la trascrivo interamente:

Questo è un regno di polvere che acceca

e c'è ancora qualcuno che ripete

per vivere il miracolo del pane

e attende pigro la stagione nuova

con il fico fiorito dietro l'orto

Conosce i vecchi inganni

ma si racconta favole

e ogni giorno reinventa la speranza

… Ma quando giunge sera

si rintana sfinito

e cancella i pensieri con il vino

Alla luce del ceppo che si spegne

ai sussulti impietosi della notte

va discorrendo piano

con le ombre già distorte della casa

finché il sonno gli annulli ogni fantasma

D'improvviso graziato

disfa pietoso entro volumi d'ombra

il disordine ambiguo delle vene.

Anche all'inizio del suo percorso artistico, Giusi Verbaro traccia un itinerario fenomenologico e psicolinguistico che lei stessa era solita ascrivere allo spazio occupato dal subconscio. Molte delle poesie che seguiranno quella qui riprodotta si rifaranno a questo principio psicoanalitico ma anche nei versi qui riprodotti la disposizione dell'autrice all'indagine esistenziale, già pronunciata, trova uno spazio per operare che non esclude, e anzi riguarda da vicino, il “regno di polvere” che la circonda. È come se i versi avessero individuato uno spazio quasi metafisico d'azione all'interno del quale è possibile cercare il senso del proprio tempo. Sembra, tutto sommato, vana la speranza di poter sottrarsi, da un lato, alla monotonia di un mondo, quello contadino, di cui si percepisce la fine ormai incombente e, dall'altro, a un destino ugualmente segnato dall'inerzia, dagli inganni e dalle inquietudini.

Nella noia di un ritmico esistere, per il tramite della sua operazione poetica, la Verbaro porta avanti il viaggio travagliato che parte dal suo Sud (altrove definita come «terra fantastica / persa tra tempi lunghi e spiagge aperte») e, passando di strato in strato, «da millenni a millenni / [...] faglia a faglia», conduce a un tempo-luogo in gran parte inconscio. La poesia, dunque, si configura come rappresentazione che, essendo legata alla parola, al linguaggio verbale, più che subconscia è, per meglio dire, preconscia. Cos'è, d'altra parte, il subconscio? Ciò che è debolmente conscio? Oppure ciò che si trova nella psiche al di sotto della soglia della coscienza? Oppure ciò che ad essa è precluso?

Si potrebbe dire che lo spazio preconscio, restando implicito, qualifichi ciò che sfugge alla coscienza; ed effettivamente lo fa, mediante il vaglio di una censura che, a un estremo, evita che i contenuti inconsci trovino la via per il preconscio, facendoli passare come in una strettoia; all'altro, controlla l'accesso alla coscienza, essendo in grado di selezionare i contenuti sui quali esercitare la propria attenzione. La bio-parola di Giusi Verbaro, già negli anni settanta, individua e descrive il residuo cosciente delle preoccupazioni perturbanti presenti nella sua esistenza; il soggetto, così, è perfettamente in grado di rievocare i propri ricordi lungo un viaggio poetico che adegua una località psichica (psychische Lokalität, diceva Freud) a un sapere cosciente, in questa fase persino impegnato.

In questa località psichica, che ha una propria spazialità, ma che è priva di una topografia rigorosa, si forma uno degli stadi preliminari delle immagini che prendono parte alla poesia di Giusi Verbaro. Ciò avviene perché la poetessa, nei versi qui trascritti così come in altre occasioni, brandisce l'estraneità di ciò che le è familiare, situandosi in un altrove privo di ordinamento − tra i sussulti impietosi della notte, entro volumi d'ombra, nel disordine ambiguo delle vene −, la cui idea le consente di instaurare un rapporto produttivo con il suo Io e con l'ambiente che lo circonda. Ciò, peraltro, chiarisce la funzione che − a detta della stessa Verbaro − ha avuto la poesia nel corso della sua esistenza: mappa, bussola, rotta, ragione e mezzo d'indagine. E, allora, l'esperienza legata alle prime poesie, se pure segna un momento distinguibile nella carriera letteraria di Giusi Verbaro, non sarà abbandonata nelle prove successive e anzi ne costituirà il presupposto imprescindibile.

L'esistenza di Giusi Verbaro, coerentemente votata a un'idea di poesia stabilita sin dalle prime prove, si interromperà, troppo presto e all'improvviso, il 27 agosto 2015.