Le voci delle grandi donne che desiderano restare, incidere, esprimere con forza.

Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura nel 1996, appartiene a questa schiera rarefatta: una donna che ha reso la parola un balsamo, capace di affrontare la realtà con ironia e tenerezza, con disincanto. La sua opera si è posta come un canto universale, in cui l’umiltà si coniuga a una vertiginosa profondità di pensiero.

La poetessa polacca, nata nel 1923 e cresciuta tra le ferite della guerra e del totalitarismo, ha saputo trasformare l’esperienza personale in un laboratorio dell’umano. La sua poesia si erge sulle piccole cose. Un suo verso: «Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne». È una dichiarazione di grande necessità: per Szymborska la scrittura è un gesto vitale, risposta urgente al paradosso di vivere.

In questo tempo, troppo spesso coperto da odio e voci di solenni visioni apocalittiche, la voce della Szymborska è un punto di riferimento per moltissimi letterati e appassionati di poesia. I suoi versi a tratti ironici, a volte persino giocosi, diventano strumento di ricerca. Come nelle sue parole: «Nulla è mai due volte, / né accade due volte la stessa cosa». Una verità semplice, che porta con sé il peso della caducità e insieme la bellezza irripetibile dell’esistenza.

La poetessa affronta molte tematiche - la morte, il tempo, la memoria, il dolore - ma li affronta con lo sguardo dell’entomologa che osserva una creatura fragile sotto una lente. Ogni dettaglio diventa un varco verso l’infinito: un granello di sabbia, un vecchio giornale, un gatto rimasto solo dopo la morte del padrone. Così facendo, Szymborska ci ricorda che la verità si cela nelle pieghe più minute, e che l’universale si riflette sempre nel particolare.

Nel conferimento del Nobel, l’Accademia di Svezia sottolineò come la sua poesia fosse «precisione ironica che permette al contesto storico e biologico di emergere nella realtà umana». Ma oltre al riconoscimento accademico, l’opera di Szymborska è un atto di testimonianza femminile, come dimostrazione viva del potere della donna di porsi al centro del pensiero.

La poetessa ha mostrato che la voce di una donna poteva attraversare la storia con un registro unico, senza doversi adeguare a schemi precostituiti. In una società che troppo spesso ha relegato la figura femminile ai margini della cultura, Szymborska ha incarnato la forza di affermarsi con la parola.

La sua poetica, con quel tono sommesso e privo di enfasi, è diventata simbolo della possibilità di un discorso femminile capace di misurarsi con i destini collettivi senza rinunciare all’intimità. In questo senso, la poetessa polacca ha aperto spazi nuovi per le donne nella letteratura: né muse, né ancelle, né principesse, ma custodi di uno sguardo differente e necessario.

Oggi, a distanza di anni dalla sua scomparsa nel 2012, la voce di Wislawa Szymborska continua a parlarci con urgenza rinnovata. In un’epoca in cui la superficialità sembra dominare, la sua poesia è invito a guardare con attenzione, a riconoscere l’immenso nel frammento.

La sua opera dimostra che la letteratura è una forma di resistenza e di cura. Resistenza contro l’oblio e l’indifferenza, cura della memoria e delle emozioni che ci rendono umani. Nel segno della sua parola, la figura della donna acquista ulteriore rilievo, la sua scrittura stessa è atto di emancipazione, testimonianza del fatto che il femminile può e deve stare al cuore della civiltà.

In fondo, l'eredità più grande di Wislawa Szymborska è il suo equilibrio potente: un monito che ci ricorda come il vero impegno letterario è nella costanza di un ascolto profondo. E forse è proprio questa la sua lezione: che la poesia salva dall’insensatezza, restituendo dignità al nostro fragile essere.


(Ad alcuni piace la poesia, Wislawa Szymborska)
"
Ad alcuni
cioè, non a tutti.
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.
Senza contare le scuole, dove è un obbligo,
e i poeti stessi,
ce ne saranno forse due su mille.

Piace
ma piace anche la pasta in brodo,
piacciono i complimenti e il colore azzurro,
piace una vecchia sciarpa,
piace averla vinta,
piace accarezzare un cane.

La poesia
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
Come alla salvezza di un corrimano.

Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia.
Felice, ho inghiottito una stella.

Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.