L’Europa è uscita sconfitta dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti e la pax economica raggiunta il 27 luglio scorso in Scozia ha lasciato molte vittime sul campo di battaglia. Ieri Bruxelles e Washington hanno sottoscritto la dichiarazione congiunta che definisce i termini del trattato. Una firma pesante quella apposta dalla Commissione europea sull’accordo che prevede dazi universali al 15% ad esclusione, però, di un lungo elenco di beni che gli Usa considerano strategici per la propria produzione industriale o per la propria sicurezza nazionale. Un patto sbilanciato. Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’accordo «garantisce le migliori condizioni possibili per aziende e consumatori» tutela «milioni di posti di lavoro nella Ue» e rafforza «su tutti i fronti le relazioni» tra Stati Uniti ed Europa. Di fronte ad una situazione difficile «abbiamo ripristinato la chiarezza e la coerenza del commercio transatlantico» ha detto ancora la presidente della Commissione. L’accordo raggiunto, ha concluso «non è la fine del processo, continuiamo a impegnarci con gli Stati Uniti per concordare maggiori riduzioni tariffarie, identificare più aree di cooperazione e creare più potenziale di crescita economica e, allo stesso tempo, continuiamo a diversificare i nostri partenariati commerciali internazionali». Di fatto Bruxelles ha ceduto su tutti i fronti per ammorbidire la posizione americana. Senza centrare i propri obiettivi strategici. Sono stati azzerati tutti i contro dazi, aumenti di tariffe più volte annunciati e mai applicati dalla scorsa primavera, mentre gli Usa da aprile hanno fatto cassa con l’aumento delle imposte doganali fissate al 25%. E soprattutto l’Europa ha spuntato le due armi più potenti di cui disponeva: il Digital service act ed il Digital markets act. I regolamenti nati per contrastare gli abusi di posizione dominante delle grandi piattaforme tecnologiche. Per accontentare il presidente Usa Donald Trump, sul commercio digitale e sull’utilizzo di internet in Europa le Big Tech avranno, almeno per il momento, campo assolutamente libero. Ma il rischio maggiore, per la bilancia commerciale, cioè la differenza tra il valore totale delle esportazioni e delle importazioni, è rappresentato dal fatto che Bruxelles ha autorizzato il via libera, a costo zero, all’ingresso in Europa di tutti i beni industriali prodotti negli Usa. Varrà, ad esempio, anche per le auto e per le moto a stelle e strisce (dei marchi che competono con i brand europei) che oggi hanno una tassazione compresa tra il 10% ed il 12,5%.

Autoveicoli e motociclette Usa, componenti per attrezzature aere ed aerospaziali entreranno in Europa senza pagare dazi

In virtù del nuovo trattato commerciale entreranno a costo zero anche molti prodotti agricoli ed ittici, la carne di maiale e di bufalo, alcuni prodotti lattiero-caseari, la frutta e la verdura fresca, l’olio di semi, marmellate, confetture, conserve e frutta secca. Una evidente alterazione dei mercati in cui è diretta o molto agguerrita la concorrenza tra le imprese dei due continenti. Bruxelles ha ceduto, Washington no. L’Europa può dire di aver ottenuto un risultato capitalizzabile solo nel settore automobilistico e nei comparti aereo e aerospaziale: i dazi passano infatti dal 27,5% al 15%. I Suv, omologati come autocarri, avranno invece dazi al 25%. Il risparmio sui rendimenti del mercato automobilistico non potrà però sanare le perdite complessive che subiranno le aziende europee in tutti gli altri settori. Nel 2024 le esportazioni italiane negli Usa hanno fruttato alle imprese 64 miliardi e 708 milioni di euro. Con le nuove tariffe Confindustria stima perdite pari ad un terzo delle vendite. Farmaceutica e chimica, agroalimentare, produzione di macchinari, autoveicoli ed elettronica saranno i settori più colpiti.

L'Europa ha assunto l'impegno formale di acquistare dalle aziende americane 40 miliardi di microchip nei prossimi 3 anni

L’associazione degli industriali chiede interventi del Governo e di Bruxelles per contenere le perdite economiche delle aziende. La Commissione europea non ha avuto la forza di far valere le proprie ragioni commerciali. Le numerose concessioni fatte non sono neppure servite ad avere lo sconto sulla tassazione di acciaio ed alluminio, uno dei nodi più dibattuti e controversi. I dazi resteranno al 50%. Il Regno Unito ha strappato il 10% ed un accordo di partnership sugli approvvigionamenti dai Paesi del Commonwealth. E in più, su acciaio ed alluminio, c’è una lista aggiuntiva di 400 prodotti, pubblicata dal Dipartimento del Commercio americano, considerati loro “derivati”, che verranno tassati dalle Dogane Usa, allo stesso modo, in ingresso nel Paese: nell’elenco ci sono motociclette, mezzi meccanici, carrozze e motrici ferroviarie, attrezzature per i lavori di cantiere, generatori elettrici, impianti di climatizzazione, caldaie, mobili per ufficio, utensili per il lavoro e per la casa, apparecchiature elettriche e stoviglie.

Acciaio, alluminio e rame, strategici per la produzione industriale, peseranno per il 50% in più sugli esportatori europei

Dal primo agosto anche i dazi sul rame sono stati portati al 50% e così resteranno. Nessuno sconto, poi, su vini, birra ed alcolici. L’Europa chiedeva il mantenimento dei dazi correnti, compresi tra il 2,8% ed il 5%, gli Stati Uniti li hanno alzati al 15%. In Italia sono a rischio vendite per un valore di 460 milioni su un fatturato di 2,5 miliardi di euro. Anche i farmaci generici con i loro precursori chimici, molecole ed eccipienti, che sono sempre stati gratuiti, pagheranno dazi al 15%. Le esportazioni italiane negli Usa in questo settore valgono 10,5 miliardi si stima un calo delle vendite pari a 1,8 miliardi di euro. Dazi al 15% anche per i microchip di produzione europea. In questo settore l’Italia vanta due tra i migliori player internazionali con accordi da milioni di euro negli Usa: STMicroelectronics e LFoundry. Stessa tassazione per le cosiddette risorse naturali non disponibili, cioè presenti in quantità limitate, incluso il sughero, utilizzato in numerose industrie (aerospaziale, auto, cosmesi, moda) per le sue proprietà uniche, tra cui l'isolamento termico e acustico. L’Italia è il quinto esportatore di questo bene negli Usa. Anche se l’accordo di massima è fatto Ue ed Usa hanno concordato «di considerare altri settori e prodotti importanti per le loro economie e catene del valore da includere nell’elenco dei prodotti a cui si applicherebbero solo i dazi della nazione più favorita». È quanto ha detto il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic. «Le porte non sono chiuse per sempre, con gli Stati Uniti riguardo al settore dei vini e degli alcolici - ha aggiunto Sefcovic - e noi lavoreremo il più duramente possibile per estendere le esenzioni in questo ambito». La Commissione europea ha proposto agli Usa di far scattare le nuove tariffe dalla data del primo agosto e non dal primo settembre come vorrebbe Washington. Una misura che consentirebbe un risparmio, per le imprese, che oggi pagano il 25% sulla quasi totalità di beni esportati in America. Bruxelles ha preso impegni formali, ma non vincolanti, su acquisti di beni strategici dagli Usa. Forniture di microchip per l’industria civile, per un valore di 40 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, e 750 miliardi di dollari per acquisti di gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti nucleari statunitensi. Trump ha chiesto ed ottenuto investimenti per 600 miliardi di euro delle aziende europee negli Usa nel settore dei semiconduttori, nel settore farmaceutico e nella manifattura industriale. All’Europa anche l’onere di implementare la produzione di armamenti per conto della Nato. Si parla di 1.000 miliardi di euro nei prossimi 5 anni escluse le tecnologie informatiche di difesa. La Polonia si è candidata come capofila del progetto e ha chiesto alla Commissione un terzo dei 150 miliardi di euro stanziati con il programma di finanziamenti Rearm-Eu.