In Calabria ci sono più pensionati che lavoratori. Un’anomali che spinge il sistema regione al collasso. Ne parliamo con Francesco Napoli, vicepresidente nazionale di Confapi che ha lanciato l’allarme.

Vicepresidente Napoli, i dati che arrivano dalla Calabria sono allarmanti: più pensionati che lavoratori. Ci spiega meglio la situazione?
«Purtroppo sì, è una realtà che non possiamo più ignorare. In Calabria oggi il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori attivi: si erogano circa 772.455 pensioni, mentre gli occupati sono poco più di 541.355. Il saldo negativo, quindi, è di circa -231.100 unità. Si tratta di un dato che riflette una fragilità strutturale della nostra economia e della nostra società».

Il rapporto della CGIA di Mestre conferma questo squilibrio?
«Esatto. Secondo l’ultimo rapporto, la Calabria è tra le regioni italiane più colpite. Solo nella provincia di Reggio Calabria il saldo negativo tra pensionati e lavoratori è di -86.977 unità, mentre nella provincia di Cosenza è di -80.430. Numeri che parlano da soli e che raccontano una regione che invecchia e produce sempre meno».

Lei ha parlato di “disastro previdenziale”. È davvero così grave la situazione?
«Sì, perché quello che vediamo in Calabria è l’anticipazione di un problema nazionale. Il sistema previdenziale italiano si regge sul rapporto tra chi lavora e chi percepisce una pensione. Se questo rapporto si squilibra, il rischio di collasso è reale. La Calabria, con i suoi numeri, rappresenta un caso emblematico di ciò che potrebbe accadere in futuro anche altrove».

Quali sono, secondo lei, le cause principali di questa crisi?
«Ci sono quattro fattori che, insieme, stanno determinando questa deriva. Il primo è l’emigrazione giovanile: i nostri ragazzi continuano a lasciare la Calabria in cerca di opportunità altrove. Ogni giovane che parte è una perdita di energie, di competenze e di contributi. Il secondo è la diffusione dell’intelligenza artificiale. È un fenomeno ormai irreversibile, che può certamente aumentare la produttività, ma se non viene gestito rischia di cancellare posti di lavoro, specialmente per i più giovani. Dobbiamo saperla integrare, trasformandola in opportunità, non in un’ulteriore causa di fuga.Il terzo è la carenza di servizi all’infanzia. Gli asili nido comunali sono pochi e la Calabria è tra le regioni peggiori d’Europa in questo campo. Questo rende difficile conciliare lavoro e famiglia e scoraggia la natalità».

C’è un quarto fattore.
«Sì, il quarto fattore riguarda la chiusura di molte partite IVA e il crescente ricorso al lavoro nero tra le piccole imprese. Si tratta di un fenomeno in forte crescita alle nostre latitudini, con conseguenze dirette sulla riduzione dei contributi versati e sul progressivo squilibrio del sistema previdenziale».

Da dove si può ripartire per invertire la rotta?
«Prima di tutto, serve una visione chiara. Non bastano più le analisi o le denunce che ascoltiamo da anni. Servono interventi concreti e mirati: politiche attive per il lavoro, incentivi per chi investe sul territorio, sostegno reale alle famiglie e infrastrutture sociali come asili, scuole e servizi sanitari efficienti. Solo così potremo trattenere i giovani, valorizzare le competenze e ricostruire un tessuto produttivo capace di garantire contributi, lavoro e prospettive per tutti».

Quindi un appello alla politica?
«Esattamente. È il momento di passare dalle parole ai fatti. Ogni anno che perdiamo è un passo verso un punto di non ritorno. La Calabria ha bisogno di azioni, non di slogan: di una strategia che unisca istituzioni, imprese e cittadini per restituire futuro e dignità al lavoro».