Quest’anno i contribuenti italiani hanno lavorato sei mesi per adempiere agli obblighi fiscali. Si stima una pressione fiscale per l’anno in corso del 42,7 per cento
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Anche a causa dei 2,5 milioni evasori, quest'anno i contribuenti hanno impiegato 156 giorni per onorare tutte le richieste avanzate dal fisco. In altre parole, per rispettare le decine di scadenze previste dal calendario fiscale, le persone fisiche e quelle giuridiche hanno teoricamente lavorato per lo Stato sino all'inizio dello scorso mese di giugno. Versamenti che, rileva la Cgia, sono necessari per retribuire i dipendenti pubblici, la sanità, la scuola i trasporti, le forze dell'ordine. Solo dal 6 giugno fino al prossimo 31 dicembre (209 giorni) gli italiani lavoreranno per sé stessi e per la propria famiglia In Italia, purtroppo, i contribuenti onesti versano molte tasse perché ci molti 'disonesti'.
Dalle ultime stime dell'Istat riferite al 2022, infatti, sono quasi 2,5 milioni le persone fisiche occupate irregolarmente, o se in proprio senza partita Iva. Il numero più elevato è in Lombardia con 379.800 unità. Seguono i 319.400 del Lazio e i 270.200 della Campania. Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, prima la Calabria con il 17,1%. Poi la Campania (14,2), la Sicilia (13,6) e la Puglia (12,6). La media italiana è del 9,7%.
Negli ultimi trent'anni, la pressione fiscale più bassa è stata nel 2002 con il Governo Berlusconi, quando si attestò al 38,9% del Pil, -3,8 punti rispetto alla percentuale prevista nel 2025. Allora furono necessari 142 giorni per "liberarci" dal giogo fiscale, ben 14 giorni prima della scadenza prevista nel 2025. Il picco massimo fu nel 2013 con il Governo Monti - sostituito a fine aprile da Enrico Letta - quando il carico fiscale sul Pil arrivò al 43,4%: record negativo di sempre.
Pressione fiscale del 47%
Nel Documento di Economia e Finanza del 2025, si stima una pressione fiscale per l’anno in corso del 42,7 per cento; un livello in lieve aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al dato del 2024. Tuttavia, è necessaria una puntualizzazione: va ricordato che la Legge di Bilancio 2025 ha sostituito la decontribuzione a favore dei lavoratori dipendenti con una analoga misura che combina gli sconti Irpef con il “bonus” a favore delle maestranze a basso reddito. Mentre la decontribuzione si traduceva in minori entrate fiscali-contributive, il “bonus” (che vale circa 0,2 punti percentuali di Pil) viene contabilizzato come maggiore spesa e quindi sfugge alla stima della pressione fiscale. Pertanto, se tenessimo conto di questo aspetto, nel 2025 la pressione fiscale sarebbe destinata a diminuire, sebbene di poco, attestandosi al 42,5 per cento.
L’incremento della pressione fiscale è tornato a salire impetuosamente a partire dal 2023. Tuttavia, affermare che in questi anni sia aumentato il peso del fisco sul contribuente sarebbe fuorviante. L’incremento – si legge della Cgia - della pressione fiscale, infatti, non è ascrivibile ad un aumento delle tasse, quanto a una pluralità di novità legislative di natura economica introdotte a livello politico.
Pensiamo alla decontribuzione a favore dei redditi da lavoro dipendente resa più incisiva nel 2024 e all’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito Irpef. Nel 2025, con l’intento di ridurre il cuneo fiscale e a compensazione della decontribuzione, sono state aumentate le detrazioni Irpef ed è previsto un “bonus” (erogazione di una somma esente Irpef) per i redditi da lavoro dipendente sino a 20.000 euro.
Inoltre, il buon andamento delle entrate fiscali nel 2024 è stato determinato da fattori economici che hanno condizionato la crescita delle imposte sostitutive attinenti ai redditi da capitale. Non va nemmeno dimenticata la crescita registrata dalle retribuzioni; grazie ai rinnovi contrattuali, alla corresponsione degli arretrati nel pubblico impiego e all’aumento del numero di occupati l’Irpef e i contributi previdenziali hanno subito un rialzo positivo.
L’impatto sulla pressione fiscale riconducibile all’aumento delle tasse, invece, è stato modestissimo. Ricordiamo, tra i principali i
nasprimenti fiscali introdotti dal governo in carica, le seguenti misure:- incremento della tassazione sui tabacchi, dell’IVA su alcuni prodotti per l’infanzia/igiene femminile e dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni per l’anno 2024;
- rimodulazione delle detrazioni per le spese fiscali con l’introduzione di alcune limitazioni per redditi elevati, l’inasprimento della tassazione sulle cripto-attività, la riduzione delle detrazioni delle spese per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico per l’anno 2025.
Nel 2024 la Danimarca ha registrato la pressione fiscale più elevata dell’UE, con un valore pari al 45,4 per cento del Pil. Seguono la Francia con il 45,2, il Belgio con il 45,1, l’Austria con il 44,8 e il Lussemburgo con il 43. L’Italia si è posizionata al sesto posto con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Rispetto ai nostri principali partner economici, abbiamo una pressione fiscale superiore a quella tedesca di 1,8 punti e a quella spagnola addirittura di 5,4. Solo la Francia sta peggio di noi: la pressione fiscale a Parigi è superiore alla nostra di 2,6 punti. La media UE, infine, è inferiore a quella italiana di 2,2 punti.