L'intelligenza artificiale continua a ridefinire i confini tra tecnologia e lavoro umano. Secondo un'analisi condotta da Microsoft sui dati del suo Bing Copilot, a essere più minacciate dal rapido sviluppo delle moderne tecnologie non sono le mansioni manuali, ma quelle intellettuali: tra le categorie più a rischio compaiono giornalisti, editori, scrittori e addetti alle pubbliche relazioni. Lo studio ha introdotto un nuovo parametro, l’AI Applicability Score, una sorta di indice che misura quanto l’Intelligenza artificiale possa sostituire o automatizzare le attività quotidiane di una professione. E i risultati parlano chiaro: in cima alla lista delle professioni a rischio ci sono interpreti, traduttori, storici e scrittori — tutti ruoli fondati sulla produzione e rielaborazione del linguaggio, campo in cui i modelli linguistici generativi, come ChatGPT, hanno raggiunto livelli di efficienza sorprendentemente elevati.

I dati riflettono un’inversione della narrativa tradizionale secondo cui sarebbero stati i lavoratori manuali a dover temere l’automazione. Al contrario, tra i mestieri che al momento sembrano più protetti dall’avanzata dell’intelligenza artificiale troviamo operatori di impianti, escavatoristi, camerieri, vigili del fuoco e massaggiatori  tutte professioni che richiedono una componente fisica, empatica o decisionale in tempo reale, difficilmente replicabile da un algoritmo. Ma è il settore della comunicazione a pagare il prezzo più alto. I giornalisti, per esempio, risultano al 16° posto tra le figure più esposte, seguiti a ruota da editori, PR, correttori di bozze e autori. Questo perché le intelligenze artificiali sono ormai in grado di scrivere articoli, riassumere testi, correggere errori grammaticali e addirittura analizzare tendenze sui social media con un’efficienza spesso superiore a quella umana.

Uno scenario che pone interrogativi profondi sul futuro dell’informazione, della cultura e della formazione professionale. Non si tratta solo di sostituzione, ma di trasformazione: competenze come il fact-checking, l’analisi critica, il giornalismo investigativo e la narrazione approfondita potrebbero diventare gli ultimi baluardi del lavoro umano in un mondo mediatico sempre più automatizzato. Il quadro disegnato è duplice: da un lato, professioni fondate sulla parola scritta, sulle routine testuali, sono quelle che l’IA colpisce di più; dall’altro, compiti fisici, manuali o relazionali rimangono la fortezza del lavoro umano.

Tuttavia, dalla logica dell’automazione emerge una visione più sfumata: l’IA come partner di lavoro, non carnefice. È un invito a ripensare la formazione e la progettazione del lavoro: occorrono nuove competenze – analisi, creatività, pensiero critico – per affiancare l’IA e non restare accantonati. Il tempo guadagnato potrà essere investito in investigazione, approfondimento, storytelling sofisticato: aree dove il valore dell’apporto umano, oggi più che mai, resta inimitabile.

Intanto, sullo sfondo, risuona un vecchio avvertimento del World Economic Forum, che già nel 2020 aveva stimato che l’automazione e la nuova divisione del lavoro tra uomo e macchina avrebbero modificato, in pochi anni, oltre 85 milioni di posti nelle medie e grandi imprese. Un avvertimento che oggi, con l’arrivo di strumenti come ChatGPT, Copilot e altri assistenti digitali, sembra sempre meno una previsione e sempre più una realtà in corso.