Il peso fiscale colpisce chi non può evadere, mentre chi truffa lo Stato spesso viene aiutato a “recuperare” con i condoni. Il resto lo fanno controlli carenti e ingiustizie: alimentano una sfiducia che mina la democrazia stessa
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“Italia al netto. Dentro la giungla del fisco, tra tasse, evasione e condoni”. È il titolo del nostro dossier concepito come un viaggio nei numeri e nelle contraddizioni del sistema fiscale italiano. Cercheremo, in cinque puntate, di capire perché paghiamo tanto, chi evade, cosa succede negli altri Paesi d’Europa, e come uscirne. Un’inchiesta per capire cosa non funziona e cosa può cambiare. Questa è la quinta parte del dossier. Qui la prima, la seconda, la terza e la quarta parte.
In Italia le tasse non sono solo un problema economico. Sono un nervo scoperto. Un tabù. Una ferita mai rimarginata che attraversa le generazioni, le classi sociali, i territori. Chiunque lavori o faccia impresa lo sa: il sistema fiscale è complicato, spesso inefficiente, quasi sempre iniquo. Eppure, il vero nodo non è solo quanto si paga. È chi paga e chi no.
La pressione fiscale ha toccato il 42,6% del Pil, ma quella reale – quella che grava su chi non evade – supera il 47%. Una soglia intollerabile. Perché è caricata sulle spalle di chi non può nascondere nulla: dipendenti, pensionati, imprese regolari. Mentre altrove, nel sommerso, si continua a vivere, guadagnare, e spesso ostentare, senza versare quasi nulla allo Stato.
L’evasione fiscale è la piaga strutturale di questo Paese. Ogni anno ci costa oltre 100 miliardi di euro. Cifra sufficiente a ricostruire scuole, ospedali, linee ferroviarie. A pagare insegnanti, infermieri, magistrati. A finanziare ricerca, sviluppo, impresa. Ma quei soldi non arrivano. Non perché manchino: semplicemente, qualcuno se li tiene in tasca.
E lo Stato, troppo spesso, chiude un occhio. Promette controlli che non arrivano. Introduce sanzioni che non applica. E poi, puntuale, concede l’ennesimo condono. Il segnale è chiaro: chi evade oggi, potrà sempre mettersi in regola domani. A sconto. A saldo. A buon mercato.
È in questo terreno che si genera la sfiducia. Non solo verso il fisco, ma verso la democrazia stessa. Perché un sistema dove chi rispetta le regole è penalizzato, e chi le infrange è premiato, non è più credibile. Perché un giovane che apre partita Iva e si ritrova subito con il 60% di tasse tra Inps, imposte e balzelli, non crede più in un futuro qui. Perché un imprenditore che paga tutto e perde l’appalto contro chi paga in nero, smette di crederci.
E allora serve un cambio di rotta. Non tecnico. Culturale. Civile. Politico. Morale.
Pagare le tasse non è da fessi. È da cittadini. È l’atto con cui partecipiamo alla cosa pubblica. Con cui costruiamo strade, scuole, asili. Con cui garantiamo assistenza agli anziani e sicurezza a tutti. Pagare le tasse è credere nella Repubblica.
Chi evade, invece, non è un furbo. È un ladro di futuro. Un ladro che ci ruba i servizi, la giustizia, la competitività. E che ci costringe a vivere in un Paese zoppo, dove le regole valgono solo per alcuni.
Serve una politica fiscale più equa, più semplice, più chiara. Ma soprattutto serve una politica coraggiosa, che abbia la forza di dire basta ai condoni, di premiare chi è onesto, di investire nella digitalizzazione dei controlli, e di cambiare la narrazione culturale che ancora oggi giustifica l’evasione.
E serve anche un patto nuovo tra cittadini. Una coscienza pubblica che rifiuti la scorciatoia, che pretenda giustizia, che non tolleri più il silenzio.
Perché senza un fisco giusto, non c’è Stato che regga.
E senza responsabilità condivisa, non c’è futuro che valga la pena di costruire. La lotta all’evasione non è una crociata fiscale. È una battaglia di civiltà.
Dossier della Redazione Economia di LaC – LaCapitaleNews (con Michele Gagliardi, dottore commercialista)