Settemila negozi e 12mila addetti in meno dal 2019. La Confesercenti: «Dove un negozio chiude non arretra solo il mercato, arretra la vita economica di una intera comunità»
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«Dove un negozio chiude non arretra solo il mercato, arretra la vita economica di una intera comunità». Nuovo appello di Confesercenti al Governo affinché trovi una soluzione alla crisi del commercio al dettaglio. I numeri definiscono le dimensioni di un fenomeno recessivo che è andato via via aggravandosi: negli ultimi 12 anni sono spariti 140mila negozi. La Federazione italiana esercenti specialisti dell’alimentazione di Confesercenti lancia l’allarme sui dati che riguardano il settore. Oggi 4,5 milioni di italiani vivono in comuni dove è scomparso almeno uno dei negozi alimentari essenziali: in 598 comuni non c’è un panificio, in 650 non c’è una macelleria, 576 sono senza negozi di frutta e verdura e 232 risultano senza punti vendita di latte e derivati.
La riduzione delle attività è divenuta costante e i numeri relativi alle chiusure sono in crescita dal 2019: il saldo tra nuove e vecchie imprese resta negativo un trend che si ripropone annualmente da oltre un decennio. Tra il 2019 e il 2024 la distribuzione alimentare di prossimità tradizionale - panifici, ortofrutta, macellerie, pescherie, negozi specializzati - è passata da 123.095 a 115.968 attività: 7.127 negozi in meno e circa 12.000 addetti persi. Il calo, sostiene Fiesa-Confesercenti, è più marcato nei comuni sotto i 5.000 abitanti (-7,8%) e nelle grandi città (-7,1%). Le superfici di vendita sono diminuite del 13,9% e le chiusure dei piccoli negozi si sono portate via il 5% dei posti di lavoro nel settore.
Fiesa-Confesercenti ha chiesto al Governo di «garantire l’accesso alimentare nei territori fragili, rafforzando i distretti del commercio e riconoscendo i negozi essenziali come infrastruttura territoriale». Urge intervenire, dice Daniele Erasmi, presidente nazionale di Fiesa-Confesercenti, sulle spese di gestione che gli esercenti pagano.
«Serve stabilizzare i margini di guadagno delle microimprese di prossimità, riducendo i costi fissi, a partire da quello del lavoro - sostiene Erasmi - attivando strumenti compensativi ad hoc. Ed è necessario legare commercio e coesione territoriale, perché dove resta il negozio resta la possibilità stessa di vivere. Notiamo che minimarket e supermercati indipendenti, pur con meno punti vendita, continuano a mantenere lavoro, servizio e presidio: sono imprese che resistono perché hanno radicamento, conoscenza del territorio e domanda fedele. È su queste realtà - conclude Erasmi - che va costruita la risposta. Servono politiche selettive, non contributi generici».



