Tre settimane fa, quando il cosiddetto “Bova gate” era appena esploso, Federico Monzino si era presentato come il regista consapevole di un’operazione studiata a tavolino. Nelle prime dichiarazioni aveva ammesso di aver condiviso con Fabrizio Corona chat e audio scambiati tra l’attore Raoul Bova e la modella Martina Ceretti, in accordo con la stessa Ceretti, con l’obiettivo – parole sue – di «farla diventare famosa».

Oggi, però, la sua versione cambia. In un’intervista al Corriere della Sera, il 29enne imprenditore milanese racconta una storia diversa: «Corona aveva una telecamera nascosta nella visiera del cappellino, con cui si è impossessato delle chat senza il mio consenso». Una frase che ribalta completamente la ricostruzione iniziale e che, a suo dire, aggiunge un dettaglio taciuto persino ai suoi legali. «A volte, sotto pressione, non si hanno subito tutte le informazioni o la lucidità per raccontare tutto con precisione. Ora voglio mettere sul tavolo ogni elemento», spiega.

Il nuovo racconto parte dai primi di luglio, quando Monzino e la Ceretti contattano Corona per parlargli di un possibile scoop, «senza mai fare allusioni o riferimenti espliciti alla condivisione di materiale», precisa lui. In quei giorni, l’ex “re dei paparazzi” si presenta a casa di Monzino. Nella puntata di Falsissimo – ancora visibile su YouTube, nonostante gli esposti al Garante della Privacy – si vede che i due consultano chat e audio. Ma Monzino oggi giura: «In quell’occasione non ho inviato nulla. Non sapevo che stesse riprendendo tutto con una telecamera nascosta».

Secondo la sua versione, solo in un secondo momento Corona gli avrebbe detto che per «completare lo scoop e renderlo più scottante» mancava l’audio,«per fare diventare Martina famosa, come lei inizialmente voleva». In quell’occasione, ammette Monzino, ha inviato volontariamente un file audio e alcune chat in formato registrazione schermo, «non come quelle sottratte senza il mio consenso. Diceva che servivano per dare maggiore credibilità alla storia».

La vicenda si complica ulteriormente con le dichiarazioni della stessa Martina Ceretti. La modella, 23 anni, ha dichiarato ai poliziotti di aver condiviso «in buona fede» con Monzino alcune conversazioni con Bova, «senza alcun secondo fine». Prima di cancellare il suo profilo Instagram, ha pubblicato una storia in cui accusa Corona di essersi inviato da solo chat e audio «in un momento di distrazione di Federico, dopo averlo stordito con della droga». Una frase che introduce un’accusa pesantissima: «Monzino non avrebbe mai fatto una cosa del genere», scrive la modella, che si schiera così apertamente in difesa dell’amico.

Sul tavolo resta anche il mistero della sim card spagnola usata per un presunto tentativo di estorsione a Raoul Bova. Un’utenza con cui qualcuno avrebbe cercato di ottenere denaro in cambio del silenzio. Monzino nega ogni coinvolgimento, ma il dettaglio che l’ignoto autore abbia scritto il cognome della modella “Cerretti” con due “r” potrebbe essere una chiave per individuare il responsabile. Non si può escludere, infatti, che a scrivere quei messaggi sia stato lo stesso Corona. L’errore ortografico, unito a una lunga sfilza di precedenti per reati contro il patrimonio e per estorsione, spinge più di un osservatore a ipotizzare che la mano dietro quel testo possa essere la sua. Il suo curriculum giudiziario parla chiaro: il carcere non gli è stato estraneo, e in passato è stato condannato per condotte simili, in cui la gestione di materiale compromettente è stata usata come leva di pressione.

Il resto, come sempre accade nei casi in cui si incrociano gossip, interessi e rancori personali, è un labirinto di versioni contrapposte, omissioni e accuse reciproche. Monzino annuncia che sporgerà denuncia contro Corona. La Ceretti sparisce dai social. Corona, intanto, colleziona denuncie come al solito e conserva la sua posizione di fulcro dello scandalo, con un archivio di materiale che – tra vere prove e suggestioni – continua a tenere accesa la curiosità del pubblico e a rendere incandescente il clima di un’inchiesta che, al momento, appare ancora lontana dalla parola fine.