Potremmo chiamarla la crisi di Rete 4, o più precisamente la crisi del “retequattrismo”, quella formula a metà tra talk-show e comizio che per anni ha dominato la terza rete Mediaset. L’andamento di questa stagione segna un punto di non ritorno: gli ascolti faticano, i format si somigliano, e il pubblico — sempre più mobile e frammentato — sembra essersi stancato di assistere alle stesse schermaglie in prima serata.

I numeri parlano chiaro. Il lunedì Nicola Porro arranca, il martedì Bianca Berlinguer non decolla, il mercoledì il neo-arrivato Tommaso Labate segna risultati deludenti, il giovedì Paolo Del Debbio appare appannato, e la domenica Mario Giordano, traslocato e ridimensionato, resta l’unico in grado di difendere la posizione. Solo Gianluigi Nuzzi con Quarto Grado mantiene ascolti solidi e un pubblico fedele, complice il fatto di essere l’unico programma a non occuparsi di politica.

Il problema, dicono gli analisti interni, è di saturazione. Con un governo Meloni più solido che mai e un’opposizione debole, lo spazio di manovra per i talk “di denuncia” si è ridotto. La televisione che vive di conflitto e contraddittorio fatica quando non c’è un potere da attaccare o un nemico da processare. Negli anni d’oro di Michele Santoro, il successo di Annozero si alimentava della figura divisiva di Berlusconi; oggi, con la premier al massimo dei consensi, il pubblico di centrodestra non cerca conferme, e quello di centrosinistra non trova un luogo di identificazione.

In questo scenario, il volto più in difficoltà è proprio Del Debbio. Dritto e rovescio non riesce a intercettare i grandi temi internazionali, come la crisi di Gaza, che invece Corrado Formigli su La7 ha trasformato in motore di ascolti. Il tono è stanco, la discussione sembra subita più che guidata. Sono lontani i tempi in cui le puntate sulle borseggiatrici rom o sull’insicurezza urbana infiammavano l’audience: oggi la cronaca si è spostata altrove, e il format non ha trovato un linguaggio nuovo.

Non va meglio a È sempre Cartabianca. Bianca Berlinguer, sbarcata da Rai3, ha dovuto affrontare un cambio di pubblico che si è rivelato più complicato del previsto. Chi la seguiva da sinistra fatica a riconoscersi nell’ex rete di Emilio Fede, chi guarda Rete 4 da anni non si riconosce in lei. La scommessa di spostare automaticamente gli spettatori da un canale all’altro si è rivelata un’illusione.

Tommaso Labate, al debutto con Prima di domani, non è riuscito a imporsi in un palinsesto dove i toni alti e la polarizzazione sono la regola. E lo stesso Porro, con Quarta Repubblica, pur mantenendo una struttura più equilibrata e un dibattito più civile, paga l’ibridazione del format: troppo politico per i curiosi, troppo “moderato” per i militanti.

Il vero successo, paradossalmente, resta fuori dal recinto del talk: Quarto Grado, che continua a dominare il venerdì raccontando cronaca nera e casi irrisolti. Un segnale preciso: quando la politica stanca, la gente torna alle storie.

C’è poi l’effetto “Ruota”. L’access prime time di Canale 5 con La Ruota della Fortuna di Gerry Scotti viaggia oggi su ascolti record, con uno share raddoppiato rispetto agli anni precedenti. Il traino positivo, però, non si riflette su Rete 4, che ne risente in senso inverso: più forte la concorrenza interna, più fragile il canale minore. Da qui il proliferare delle “anteprime” nei talk, tentativi di isolare i segmenti sovrapposti e difendere la quota di pubblico residua.

In sostanza, il modello editoriale costruito negli anni sull’alternanza di indignazione, dibattiti infiniti e scontro ideologico mostra crepe sempre più evidenti. La televisione del litigio, che per anni è stata la spina dorsale di Rete 4, non fa più notizia. Gli spettatori cambiano canale, cercando altrove il racconto del presente — forse più nei podcast, forse nei social, forse semplicemente altrove.

Pier Silvio Berlusconi, che ha fatto della “credibilità” la nuova parola d’ordine di Mediaset, osserva con preoccupazione il calo della sua rete più “identitaria”. La stagione è solo all’inizio, ma il segnale è chiaro: per sopravvivere, Rete 4 dovrà reinventarsi. E forse, per la prima volta, dovrà farlo senza gridare.