Niente più nomine dall’alto: i coordinatori regionali verranno eletti dalla base. Lo statuto cambia per evitare le manovre last minute. Il vicepremier accelera, ma la regia è altrove
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Pier Silvio Berlusconi
Altro che restaurazione. A Forza Italia si riscrive lo statuto e, tra le righe, anche la gerarchia del comando. Antonio Tajani, vicepremier, ministro, leader (si fa per dire) del partito, ha messo nero su bianco la “nuova” Forza Italia. Nuova tra molte virgolette, perché a dettare il ritmo è sempre lui: Pier Silvio Berlusconi, l’erede silenzioso che parla poco ma pesa molto. A luglio, alla presentazione dei palinsesti Mediaset, l’ad aveva lanciato una stilettata apparentemente garbata ma micidiale: “Serve rinnovamento”. Tradotto: basta Gasparri, basta Rita Dalla Chiesa, basta partito-museo.
E Tajani ha capito l’antifona.
Nel giorno simbolico del 25 luglio – scelta casuale, dicono, ma neanche troppo – il Consiglio nazionale azzurro approva la svolta: i coordinatori regionali non saranno più scelti dall’alto, ma eletti dalla base. Una rivoluzione controllata, che però manda in soffitta la prassi delle nomine "calate" dalla segreteria. “Coinvolgere sempre di più la base” è il mantra ufficiale. Ma l’odore di pressing è forte: la famiglia Berlusconi ha benedetto l’operazione. Tradotto: o cambi, o ti cambiamo.
Il nuovo statuto prevede che le segreterie regionali diventino organi elettivi, e che i Grandi Elettori vengano designati attraverso i congressi. Basta comitati di fedelissimi, largo a un meccanismo che formalmente suona democratico, ma che serve a blindare gli equilibri post-berlusconiani.
La vera partita, però, si gioca sulle tessere. Addio ai pacchetti last minute e agli iscritti meteora: chi è stato tesserato negli ultimi cinque anni ma ha smesso di rinnovare, non potrà votare né candidarsi se non rinnova da almeno due anni. Si salva chi si tessererà per la prima volta: potrà partecipare al congresso, ma senza diritti attivi e passivi. Una misura che punta a evitare i ritorni opportunistici, e che qualcuno nel partito definisce “anticlonazione”.
Poi c’è il dossier più scottante: i soldi. Lo statuto toglie autonomia patrimoniale agli organi territoriali. Tutto finisce nelle mani del movimento nazionale, che redistribuirà l’80% ai territori. Il resto, si suppone, resta in cassa. Un accentramento che fotografa bene l’aria che tira: fiducia ai minimi storici, casse centrali sotto pressione, e l’ombra delle fideiussioni da oltre 100 milioni firmate negli anni dalla famiglia Berlusconi.
Il Consiglio nazionale si allarga: entrano anche gli assessori regionali “anziani”, non solo presidenti o vice. Tajani tenta il colpo d’immagine: rilanciare l’agenda politica con un documento che guarda ai prossimi due anni di legislatura. Liberalizzazioni, taglio dell’Irpef per il ceto medio, giustizia, infrastrutture. Tutto bello, tutto azzurro. Ma lo Ius scholae, che tanto aveva irritato Pier Silvio, è sparito dalla bozza. Casualità? Difficile crederlo.
In fondo, quello che sta accadendo è semplice: Forza Italia non è più il partito del Cavaliere, ma non è ancora quello di Tajani. È un ibrido in transizione, dove i nomi di sempre fanno ancora numero, ma la linea la detta qualcun altro. Tajani resta la faccia istituzionale, l’uomo del palazzo, ma il telecomando del partito è già sintonizzato su Cologno Monzese.
L’operazione statuto serve a blindare il partito, certo. Ma anche a evitare che la casa madre venga colonizzata da correnti esterne o nostalgici del cerchio magico. La linea di Pier Silvio è chiara: ordine, pulizia, niente sbavature. E Tajani, nel dubbio, esegue.
Resta da capire se questa “nuova” Forza Italia riuscirà davvero a convincere gli elettori – sempre più pochi – o se sarà solo l’ennesimo maquillage di un partito che fatica a trovare una voce, una direzione, una leadership vera. Intanto, il rinnovamento corre sul filo dello statuto. Ma la successione, quella vera, è già iniziata.