Per il settimanale britannico, Meloni ha conquistato una stabilità rara nella storia repubblicana e una nuova credibilità internazionale. Ma la tattica del “non fare troppo” potrebbe rivelarsi rischiosa quando finiranno i fondi europei
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Da Londra arriva un giudizio sorprendente, soprattutto per il tono: l’Economist definisce Giorgia Meloni «una politica eccezionale». Un elogio che non nasce da un cambio improvviso di orientamento, né da un innamoramento ideologico: l’analisi firmata da Christopher Lockwood, uno dei massimi esperti europei della testata, è secca, pragmatica e costruita sull’osservazione di un fatto semplice. Il governo Meloni, dopo tre anni, è il terzo esecutivo più longevo della Repubblica e il più duraturo degli ultimi quindici anni. In un Paese abituato a crolli improvvisi, rimpasti infiniti e leadership a tempo determinato, la stabilità diventa di per sé una notizia internazionale.
Lockwood non nasconde la sorpresa per una premier che, secondo molti osservatori europei nel 2022, avrebbe incendiato il sistema con un’agenda identitaria e radicale. «È stata molto più moderata del caos neofascista che i suoi detrattori liberali temevano», afferma nel video diffuso sui social del settimanale. E aggiunge un dettaglio che pesa: «L’Italia si è ora assicurata un posto negli ambienti diplomatici che contano, e il presidente Trump la ascolta». Un riconoscimento che, in un’Europa attraversata da incertezze, colloca Meloni tra gli interlocutori privilegiati delle grandi cancellerie.
Il ritratto parte da lontano: dalla militanza nel Msi a 15 anni, dal debutto nel governo Berlusconi del 2008 come ministro della Gioventù – a 31 anni, la più giovane del dopoguerra – fino alla rottura con il centrodestra tradizionale e alla fondazione di Fratelli d’Italia nel 2012. «Dal 2014, da quando è alla guida del partito, ha trasformato una forza marginale in un movimento mainstream», scrive l’Economist. L’ascesa culmina nel 2022 con la vittoria elettorale e l’arrivo a Palazzo Chigi.
Il punto centrale dell’analisi è però un altro: la capacità di Meloni di reggere una coalizione intrinsecamente instabile. Da un lato Forza Italia, forza moderata e europeista; dall’altro la Lega, con la sua anima sovranista e storicamente scettica verso Bruxelles. Un triangolo che avrebbe potuto esplodere in mille direzioni e che invece è diventato un equilibrio lavorato giorno per giorno. «Se tentasse cambiamenti radicali – osserva Lockwood – i suoi alleati la bloccherebbero». E questo paradosso diventa, per l’Economist, una forma di autodisciplina politica.
C’è però un prezzo da pagare. L’articolo parla di “moderazione obbligata” anche nei rapporti con l’Europa: con 194 miliardi del Pnrr, l’Italia non può permettersi scontri frontali, né fughe in avanti anti-europee. Da qui nasce quella prudenza strategica che ha rassicurato Bruxelles e, allo stesso tempo, garantito un consolidamento interno. Ma la testata britannica non manca di evidenziare il lato oscuro di questo approccio: la scarsità di riforme strutturali. «La sua amministrazione non fa, o cambia, molto», scrive Lockwood. Una tattica che può funzionare nel breve periodo, ma rischiosa quando i fondi europei si esauriranno. Nel 2025, ricorda l’Economist, la crescita stimata è appena dello 0,7%: numeri che lasciano aperta la domanda su cosa accadrà quando il motore del Pnrr rallenterà.
Il ritratto finale è quello di una leader che oscilla tra due registri: «momenti di fuoco populista e altri di buonsenso moderato». Un’alternanza calcolata, suggerisce la testata, che le consente di parlare a pubblici diversi senza perdere centralità. Per ora la formula funziona: Meloni appare salda, in controllo della maggioranza, capace di interpretare un conservatorismo pragmatico più che ideologico.
Sul piano internazionale, l’Economist sottolinea come la premier abbia costruito rapporti solidi con Washington, con i vertici Ue e con gli alleati della Nato. La sua immagine all’estero è diversa da quella che i detrattori italiani disegnano: meno barricadera, più affidabile, più attenta alla realpolitik che all’identità di partito. Anche per questo ha trovato spazi nei consessi che contano, dal G7 alle interlocuzioni con le grandi potenze. Il rapporto, in questo senso, mette in fila successi che altre leadership italiane non erano riuscite a ottenere.
E tuttavia, la domanda di fondo resta sospesa: un’Italia politicamente stabile ma economicamente immobile può resistere nel lungo periodo? L’Economist non si sbilancia, ma lascia intendere che l’attendismo non può diventare una strategia permanente. L’economia ha bisogno di interventi profondi su produttività, lavoro, pubblica amministrazione. La politica, per ora, ha scelto di non rischiare il consenso.
In chiusura, Lockwood riconosce alla premier un tratto raro nella politica italiana: la capacità di restare in sella evitando conflitti distruttivi e frenate improvvise. «Per ora – conclude – sembra funzionare». È un elogio, ma anche un avvertimento: la stabilità è un valore, ma senza riforme può trasformarsi in paralisi. Il test del futuro, più economico che politico, dirà se Giorgia Meloni saprà andare oltre la tattica che l’ha resa, almeno secondo la stampa internazionale, «una politica eccezionale».

