A Villa Pamphilj Meloni e Rama firmano sedici accordi strategici, tra difesa, infrastrutture e industria. Sullo sfondo, però, resta la paralisi dei Cpr in territorio albanese
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Stefano Carofei
Il vertice intergovernativo tra Italia e Albania, andato in scena a Villa Pamphilj, è stato presentato come l’incontro tra due vecchi amici. Giorgia Meloni ed Edi Rama si sono scambiati abbracci, sorrisi e battute, quasi a voler scolpire l’immagine di una partnership destinata a crescere, nonostante i dossier sensibili che attendono risposte concrete. Tra le sale barocche della villa romana si è parlato di economia, sanità, difesa, infrastrutture, energia e migranti, per un totale di sedici accordi firmati nell’arco di una sola giornata che i due leader hanno definito “storica”. Molto, però, resta sospeso.
Nelle parole della premier italiana c’è l’orgoglio di un legame che negli anni si è trasformato in un rapporto privilegiato: Roma è il primo partner commerciale di Tirana, con tremila imprese italiane radicate in Albania. “L’obiettivo è dare a questa presenza una profondità sempre maggiore”, ha detto Meloni, convinta che il ruolo dell’Italia nei Balcani sia destinato a rafforzarsi. Rama ascoltava annuendo, ben consapevole che l’iniziativa più attesa del vertice non riguardava l’economia o la cooperazione industriale, ma i centri per i rimpatri dei migranti che il governo italiano intende realizzare in territorio albanese.
Proprio questi centri, presentati come architrave della strategia meloniana sull’immigrazione, restano il principale punto irrisolto. Sono costati miliardi e dovevano diventare il simbolo del nuovo approccio italiano alla gestione dei flussi. E invece sono fermi, bloccati dalla magistratura italiana che ha contestato la compatibilità del protocollo con il diritto dell’Unione europea, ritenendo Bangladesh e Tunisia ancora paesi non sicuri. Una vicenda che ha irritato profondamente Palazzo Chigi, e che Meloni non ha mancato di evocare durante la conferenza stampa.
“Il protocollo Italia–Albania funzionerà quando entrerà in campo il nuovo Patto di migrazione e asilo”, ha dichiarato la premier. Poi l’affondo: “Finiremo esattamente come previsto all’inizio, dopo aver perso due anni. La responsabilità non è mia”. È un modo per scaricare sul sistema giudiziario lo stallo dei trasferimenti, rivendicando la volontà politica di andare avanti. Per Meloni, i centri “funzioneranno”, indipendentemente dalle opposizioni interne e dai rilievi formali. Una linea che ha immediatamente riacceso il confronto politico.
Se Meloni doveva difendersi, Rama poteva esultare. Il premier albanese è tornato a Tirana con un pacchetto di accordi che rappresentano un salto di qualità per il suo Paese. Sul piano politico, Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’ingresso dell’Albania nell’Unione europea, spingendosi a sperare che “i negoziati politici possano aprirsi durante il semestre di presidenza italiana nel 2028”. È un impegno pesante, un messaggio diretto non solo a Bruxelles ma anche agli altri partner balcanici.
Sul piano industriale, l’intesa più rilevante riguarda la difesa. Fincantieri e l’azienda albanese Kayo creeranno una joint venture per costruire sette navi nella base navale di Pasha Liman, che verrà ammodernata. Un progetto che porterà occupazione qualificata e know-how tecnologico ai giovani albanesi. A questo si aggiungono due pattugliatori che la Guardia costiera italiana consegnerà a quella albanese, nuovi crediti alla protezione civile di Tirana, un accordo tra Simest e l’agenzia Aida per supportare le pmi e un memorandum tra Leonardo e Kayo per collaborare nel settore della difesa.
La lista prosegue con impegni su energia, connettività e trasporti. Tra le idee messe sul tavolo c’è il rilancio del Corridoio VIII, la dorsale strategica che collegherebbe la Puglia al Mar Nero passando per l’Albania. Per Meloni, “fare dell’Adriatico un corridoio strategico” è parte integrante della sua visione geopolitica: un’Italia protagonista nei Balcani, non solo nell’Ue.
Eppure, per quanto i due premier abbiano ostentato sintonia, la questione dei centri per i rimpatri continua a rappresentare l’ombra lunga su questa partnership. In Italia, le opposizioni non hanno perso occasione per attaccare Meloni proprio su questo punto. “Hai fallito”, ha dichiarato la segretaria del Pd Elly Schlein, chiedendo un’informativa urgente in Parlamento. Per la leader dem, i centri in Albania sono il simbolo di una politica annunciata come risolutiva e rivelatasi invece inefficace, costosa e oggi bloccata.
Tra sorrisi, foto ufficiali e dichiarazioni di amicizia, resta dunque un nodo che nessun protocollo può sciogliere da solo. L’Italia punta sull’Albania per ridefinire la propria strategia sui migranti. L’Albania punta sull’Italia per fare un salto europeo e industriale. Il vertice ha rafforzato il legame, ma la prova della sua tenuta si giocherà lontano da Villa Pamphilj, nelle aule giudiziarie, nelle cancellerie europee e nei cantieri dei Cpr che, per ora, restano fermi.

