In Puglia il centrosinistra non discute: litiga, si azzuffa e si divora. Il candidato naturale alla guida della Regione, Antonio Decaro, ha già messo sul tavolo una condizione che sa di ultimatum: «Se Emiliano e Vendola saranno in lista, io non mi presento». Non una boutade, ma il segnale che la pazienza è finita. Dopo anni di convivenze forzate con i “padri nobili” della sinistra pugliese, il sindaco di Bari vuole una corsa tutta sua, senza ipoteche né ombre ingombranti.
Dall’altra parte Michele Emiliano tace, ma il silenzio è più assordante di mille interviste. Ha fatto sapere a chi lo chiama che non intende farsi da parte, ricordando che in Veneto perfino un Zaia in uscita può tornare consigliere. Perché lui no? Nichi Vendola, invece, non arretra di un passo: la sua sinistra non si farà cancellare dal campo per fare spazio a un progetto a misura di Decaro.
Nel mezzo, Elly Schlein. La segretaria del Pd sembra prigioniera di un gioco più grande di lei: rinvia, cincischia, annuncia tavoli che non portano da nessuna parte. A Roma fingono che sia una questione locale, ma sanno tutti che è molto di più. È un regolamento di conti interno, e la Puglia è solo il ring scelto per lo scontro.
Intanto Decaro non sta fermo. Presenta il suo libro “Vicino”, ma la tournée somiglia a un prologo di campagna elettorale: strette di mano, foto, piazze piene. Gli endorsement arrivano a pioggia: sindaci, amministratori, dirigenti, perfino pezzi di società civile che lo vedono come l’unico capace di portare aria nuova. Il suo obiettivo è chiaro: mostrarsi già leader, con o senza il via libera di Roma.

Emiliano, però, non ha smesso di tessere la sua tela. Sa come intercettare voti trasversali, pescando anche a destra. È la sua specialità, ed è per questo che i 5Stelle lo difendono: senza di lui, minacciano di mollare la coalizione. Per loro Emiliano è stato l’apriporta, l’uomo che li ha accolti in giunta e dato legittimità. Sacrificarlo ora sarebbe un tradimento. E così il Movimento alza la voce: o c’è lui, o noi non ci siamo.

Il clima è da resa dei conti. Decaro, con il suo piglio da amministratore moderno, punta a liberarsi del “padre-padrone” Emiliano. Vendola non accetta di farsi trattare come un reperto da museo. I grillini minacciano lo strappo. E Schlein, che dovrebbe governare la tempesta, appare smarrita: ogni giorno che passa, perde un pezzo di autorevolezza.
Il conto alla rovescia porta al 5 settembre, quando la segretaria dovrà salire sul palco della Festa dell’Unità di Bisceglie. Non potrà limitarsi ai sorrisi di rito. Dovrà decidere. Se sceglierà Decaro, rischia di lacerare i rapporti con Emiliano e con i 5Stelle. Se sceglierà Emiliano, darà l’immagine di una leader ostaggio dei baroni locali. In entrambi i casi, il danno d’immagine è assicurato.
È una guerra generazionale e personale. Decaro sogna di essere il volto nuovo del Pd nazionale, Emiliano non accetta il pensionamento forzato, Vendola rivendica spazio per la sua sinistra. Nel frattempo, la destra pugliese si sfrega le mani: a guardare lo spettacolo dall’altra parte del campo c’è solo da divertirsi.

Il paradosso è che a decidere il futuro della Puglia non saranno i pugliesi, ma la linea che Schlein avrà il coraggio — o la forza — di imporre. Un coraggio che, fino a oggi, non si è visto. La segretaria appare impantanata, più attenta a non scontentare nessuno che a dare una rotta. E intanto il partito si sbriciola tra rancori, vendette e ambizioni personali.
La sensazione è che nessuno abbia più il controllo. Non Emiliano, non Decaro, non Vendola. Men che meno Schlein. La partita pugliese è diventata un test nazionale: se la leader dem non saprà uscirne con una decisione netta, la sua immagine ne uscirà devastata. E allora, altro che successione al Nazareno: a quel punto, sarà lei a rischiare la sostituzione.